L' arbitro internazionale Luigi Lamonica si racconta

Luigi Lamonica, abruzzese classe 1965, nato a Pescara e rosetano d'adozione, è l'arbitro di basket più titolato in Italia e uno fra i più titolati al Mondo. È l'unico italiano ad aver diretto la Finale del Campionato del Mondo (Turchia 2010) e la Finale del Campionato Europeo (in ben tre occasioni: Svezia 2003, Serbia 2005, Lituania 2011). Ha al suo attivo le Olimpiadi di Pechino 2008 e di Londra 2012, delle quali ha diretto la Semifinale. Fra i tanti altri allori del suo palmares più unico che raro, tre Finali di Eurolega (2007, 2011, 2012), una Finale di Eurocup, sedici Finali Scudetto, sei Finali di Coppa Italia. Da poco ha pubblicato il libro "Decidere" (Carsa Edizioni, 22 euro), a cura di Luca Maggitti (giornalista e direttore del sito Roseto.com). "Decidere" raccoglie i quattro diari scritti in occasione di altrettanti impegni internazionali. Luigi Lamonica devolverà parte dei ricavi alla onlus "L'Aquila per la Vita" (www.sctf.it), operante nel campo dell'oncologia domiciliare. Per acquistare il libro è possibile scrivere alla casa editrice (info@carsa.it). La sua pagina facebook è https://www.facebook.com/Lui-giLamonica
Lamonica perché decise di arbitrare? «Perché un giorno, a tredici anni, ti ritrovi in un posto in cui hanno organizzato un torneo ma si sono scordati di chiamare gli arbitri. Così tuo padre ti manda in campo e tu non puoi dirgli di no». Detta così sembra una costrizione... «La prima volta per dovere, dalla seconda in poi per gusto di fare qualcosa che più andavo avanti e più mi piaceva».
La sua prima partita arbitrata fra i professionisti a ventotto anni, nel 1993. Un "enfant prodlge"? «Al contrario. Avendo iniziato presto, ci sono stati sei anni in cui non venivo promosso e quindi non salivo di categoria, restando nelle serie cadette. Pensai anche di smettere».
Sarebbe stato un vero peccato se avesse smesso... «Diciamo che di un ragioniere in più l'Italia ha potuto fare benissimo a meno e che sono molto contento di non aver smesso».
Leggendo II suo libro "Decidere" viene In mente II motto: "Diventa arbitro, girerai II mondo!". «È proprio così. Ho preso il mio primo treno per andare ad arbitrare. E anche il mio primo traghetto e il mio primo aereo. Non avrei visto i paesaggi mozzafiato della Nuova Zelanda né la Grande Muraglia se non avessi arbitrato. Ma ai giovani dico che va benissimo anche se la carriera li porterà in giro per la loro regione. Non tutti, arbitrando, possono arrivare in vetta, ma di sicuro tutti possono viaggiare, conoscere gente nuova, diventare persone migliori grazie al confronto».
Perché ha scritto II suo libro? «Per supportare, devolvendo la parte dei ricavi che spetterà a me, i "Guerrieri" di L'Aquila per la Vita che combattono ogni giorno contro il cancro, aiutando i malati a domicilio. Altrimenti i miei diari sarebbero rimasti soltanto sul web».
Poi però II libro è diventato qualcosa di inaspettato... «Verissimo. Hanno iniziato a chiamarmi in giro per l'Italia e in Europa per parlare del libro e delle mie esperienze. Incontri molto belli, che diventano bellissimi quando posso parlare con i giovani arbitri. Il libro, oltre che uno strumento di solidarietà, è così diventato una sorta di testimone, mediante il quale io provo a passare il mio entusiasmo e il mio incoraggiamento ai più giovani che hanno deciso di arbitrare, perché essere uomini delle regole è bello e utile».
Senza arbitri non sì gioca, ma gli arbitri sono quelli odiati da tutti... «Spesso è così, ma mi lasci dire che da quando scrivo sul web i miei diari e da quando è uscito il libro le cose vanno molto meglio. Meno insulti, più strette di mano. E questo fa enormemente piacere».
Errare è umano. Anche per gli arbitri? «L'arbitro migliore è quello che sbaglia di meno e che non pretende di compensare un errore con un altro errore. Non esiste l'uomo perfetto, quindi non esiste l'arbitro perfetto. Siamo al servizio del gioco, nel rispetto delle regole, cercando di non farci schiacciare dalle responsabilità e di divertirci insieme agli attori in campo e in panchina».
La sua pagina di Facebook, nel giorni dell'Olimpiade di Londra, ha avuto ventunmila contatti settimanali. C'è II rischio di montarsi la testa? «Direi di no. C'è il piacere di aver incontrato giovani arbitri italiani venuti a Londra per seguire le gare di basket ed aver chiacchierato con loro. E c'è il gusto, che è rimasto ed è anzi aumentato dopo il libro, di continuare a condividere le mie emozioni di uomo e di arbitro con i lettori. Scrivere mi ha reso un uomo migliore e quindi un arbitro migliore e sono certo che la condivisione e la trasparenza fanno bene sempre, comunque e dovunque».
Per chi l'ha seguita sul web, anche la chicca del siparietto con II campionissimo Kobe Bryant... «Oltre ad essere un giocatore formidabile, Kobe è un uomo simpaticissimo che riesce a mitigare il suo essere una star di livello mondiale, restando un giocatore rispettoso in campo. E poi parla italiano in modo perfetto e quindi è stato un piacere incontrarsi sia in campo sia a margine di una partita e scambiare quattro chiacchiere».
Lei ha scritto che partecipare alle Olimpiadi cambia per sempre la vita. Ma dice davvero? «Credetemi, lo "Spirito Olimpico" esiste. La magia delle cerimonie di apertura e chiusura, a Pechino come a Londra, ha il potere di farti percepire, quasi a livello tattile, che un altro mondo è possibile secondo i valori positivi dello sport e cioè rispettando le regole e l'avversario. E poi vedere statunitensi e iraniani o israeliani e palestinesi che grazie allo sport si abbracciano e non si guardano in cagnesco, è un inno alla vita e all'ottimismo».
Visto II suo palmares, dove trova le motivazioni per arbitrare ancora? «Parafrasando il poeta Nazim Hikmet, la più bella delle partite è quella che devo ancora arbitrare».
Simone Gambacorta