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La prima domenica senza sport nella storia dell'umanità

di Umberto De Santis

Giochi e divertimenti, palii e cacce: gli uomini si sono sempre occupati nel tempo libero di attività benefiche per il fisico con competizioni e quant'altro. E dopo la nascita delle società di ginnastica nell'Ottocento e l'imporsi del concetto di "sport", la passione per i confronti fra atleti prima e squadre poi ha contagiato tutto il mondo.

Fino a far nascere campionati e tifoserie, campanilismi e fenomeni che con il progressivo successo della carta stampata, poi della radio, e poi della televisione hanno creato l'interesse che conosciamo tutti oggi, di cui ancora le Olimpiadi sono il prodotto più alto e completo.

Ieri la comunità mondiale ha condiviso per la prima volta una domenica senza sport. Il Coronavirus ha unito gli ipertecnologici teenager superconnessi delle società occidentalizzate ai villaggi sperduti delle Ande o del Congo. Zero sport, buio totale.

E se ancora una settimana fa resistevano gli stakanovisti dell'ippica inglese, dei campionati dell'Est Europa o del Sudamerica, e si cercava di far disputare a Londra il preolimpico della boxe alla corte di un Boris Johnson virus-scettico oltre che euro, ieri non c'era rimasto più nessun evento sportivo su cui scommettere.

Incredibile dictu! Come immaginare i cieli di Pechino o di Milano senza il biossido d'azoto solo qualche mese fa...

Divanisti pantofolai del "vestaglione di flanella, frittatona di cipolle, familiare di Peroni gelata, tifo indiavolato e rutto libero (Fantozzi docet)" senza impegni nel pomeriggio della domenica.

Maniaci del fitness, ciclisti amatoriali con integratori assortiti, ragazzi dediti all'imitazione di un Messi o di un LeBron James nei campetti, tennisti del dopolavoro: anche chi occupa il weekend con le attività fisiche preferite è rimasto a casa (della deficienza di chi non l'ha fatto è bene se ne occupi la polizia).

Se immaginiamo lo sport come un cuore pulsante, ieri il battito era quasi a zero.

E di fronte a noi, in gioco è rimasto solo chi combatte la partita della vita. Nelle terapie intensive, nelle corsie dell'ospedale, nella autoambulanze, nel controllo delle strade, nella grande distribuzione alimentare. Senza distinzione tra dottore e paziente, tra cassiera e cliente. La democrazia del Coronavirus.

Non è dura allo stesso modo per tutti, e questo pensiero dovrebbe aiutarci ad accettare quelle limitazioni alla libertà personale che non sono frutto di condizionamenti ideologici ma della necessità della sopravvivenza quotidiana. Senza sport e, senza farci illusioni, senza attività di alcun genere almeno fino a tutto maggio.


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