I sogni di Martina Mutterle: da Schio all'America con Basketball Without Borders
A 17 anni e otto mesi, Martina Mutterle può dire di aver messo insieme tante esperienze da sogno, grazie alla sua militanza col Famila Wuber Schio. L'esordio in A1 nel 2022 con i primi punti a Lucca, quello di un mese dopo nelle Finali Scudetto; la prima partita in EuroLeague Women, la trasferta della Coppa Italia 2024 con Schio, vedendo il suo nome annunciato in quel di Torino tra le vincitrici.
Da pochi giorni per lei anche i tratti del classico sogno americano, con la partecipazione a un prestigioso camp organizzato dalla NBA, il Basketball Without Borders tenutosi a Phoenix, Arizona. Un'esperienza che ci ha raccontato con una voce che non nasconde l'orgoglio per quanto raccolto, e anche un po' d'emozione dopo un percorso di avvicinamento tutt'altro che banale.
L'esperienza, infatti, ha rischiato più volte di sfumare e solo grazie alla grande forza di volontà di Martina è stato possibile, per questo sogno, materializzarsi: "L'occasione si è presentata in modo un po' confuso. Da aprile ero ferma a causa di un infortunio, un edema osseo al piede che m'impediva di correre o saltare. A giugno Francesco Forestan, team manager della Nazionale, mi ha informato che un'agente americana mi aveva vista (non saprei nemmeno dove) e voleva invitarmi a questo camp. Sul momento non avevo nemmeno idea del nome del camp, delle date o di dove potesse tenersi. Ma a quel punto ho iniziato un percorso di terapie su terapie, grazie ai miei genitori che mi hanno aiutato tantissimo: per l'infortunio avevo già dovuto saltare l'occasione della Nazionale U18, non volevo mancare un'altra grande opportunità".
Facile? Non proprio. Il percorso ha continuato a riservare ostacoli, tutti superati: "Inizialmente mi era stata comunicata l'ultima settimana di luglio come data d'inizio del camp, solo dopo ho scoperto che si sarebbe svolto un po' prima, dal 17: lì è iniziata una corsa contro il tempo per recuperare". Superando anche qualche scetticismo esterno che sembrava potesse pregiudicare l'invito: "Gli organizzatori erano a conoscenza di questo mio infortunio e c'erano un po' di dubbi sull'invitarmi ufficialmente o meno, anche se alla fine sono riuscita a dimostrare di poter fare tutto, pur non al 100% (non correvo e saltavo da tre mesi). Avevo solo qualche allenamento vero sulle gambe quando sono partita". E proprio per questo l'invito tanto desiderato è arrivato all'improvviso, quasi all'ultimo secondo, come un tiro a fil di sirena: "Una settimana prima, al giovedì sera. Venerdì ho fatto l'iscrizione, sabato sono arrivati i biglietti e il giovedì successivo sono partita verso Phoenix".
Con l'invito, per Mutterle è arrivata anche la sorpresa, che ha sicuramente risvegliato un complesso circolo di emozioni: "Ho scoperto che il camp era il Basketball Without Borders proprio una settimana prima di partire, quando mi è arrivato l'invito. Venivo da un periodo in cui ero demoralizzata, perché per l'infortunio non ero riuscita ad andare in Nazionale: non mi aspettavo di poter subito partecipare a un camp di così alto livello". Proprio per questo, l'approccio non è stato facile, ma di nuovo Martina è riuscita a superarlo: "Ho iniziato un po' preoccupata, per paura di non farcela fisicamente, ma sono riuscita a fare tutto e sono orgogliosa di esser riuscita ad allenarmi bene".
E l'atmosfera da NBA del Basketball Without Borders? La 2006 di Schio ce lo racconta: "Si percepiva che era una grande opportunità, c'erano tutti gli allenatori e gli scout dei vari college americani che ci guardavano, c'era tanta pressione. Però con gli allenatori e il gruppo di ragazze mi sono trovata bene. Sono contenta, soddisfatta, penso di essermi allenata bene e soprattutto divertita, poi si è creato un bel gruppo".
Con Mutterle, unica italiana, al camp erano presenti altre tre giocatrici del nostro campionato: "Sono stata fortunata perché ero con Ajsa Sivka, che già conoscevo bene ed è una ragazza stupenda. In più sul momento ho conosciuto meglio Blanca Quinonez ed Emilie Brzonova. Anche loro ragazze super, con cui ho parlato un sacco, ci aiutavamo a vicenda, come con tutte le altre partecipanti".
Riguardo al livello tecnico queste le impressioni: "Come al solito fisicità e velocità non mancavano, ma anche venendo da un infortunio come il mio non penso di aver sofferto molto questi aspetti. Ho notato che tutte le ragazze erano molto forti tecnicamente, durante gli allenamenti si lavorava moltissimo su quello e devo dire che è stata la parte più divertente. Mi ha colpito una ragazza giapponese, che non arrivava nemmeno a 1.70 ma era dappertutto, in difesa c'era sempre e rubava tantissimi palloni, in attacco faceva dei passaggi bellissimi e anche come personalità dava un sacco di carica in campo alle compagne".
Non mancano poi le constatazioni sull'aspetto organizzativo americano: "Fuori dal campo l'organizzazione mirava molto al benessere di noi atlete, c'era un dottore che ci seguiva, un fisioterapista, potevamo chiedere qualunque cosa e avevamo tutto ciò che ci serviva. Non ci mancava nulla, anzi, c'era anche fin troppo... Ho notato anche un grande entusiasmo di tutto lo staff, pure fuori dal campo, cercavano sempre di venire a parlare con noi, di stare con noi".
Negli stessi giorni, Phoenix ha ospitato l'All Star Game WNBA, un atteso showcase tra la nazionale americana e il team selezionato dalla Lega stessa. Lì Mutterle, con le sue compagne, ha potuto visitare il grande convention center con sponsor e merchandise, ma soprattutto assistere alla partita: "Super emozionante, era la mia prima volta negli USA e non avevo mai visto la WNBA se non in tv. Il palazzetto era immenso e strapieno, c'era grande attesa, si respirava un'aria particolare. Io non vedevo l'ora di vedere le giocatrici che più mi piacevano, come Clark e Taurasi. Il clima è stato fantastico, una delle esperienze più belle che abbia mai provato: e poi anche la partita è stata molto bella, ci siamo divertite".
Non banale parlare di esperienze più belle perché per Martina Mutterle, come dicevamo in apertura, il BWB è stata solo la ciliegina sulla torta di un percorso che ha vissuto ancora prima della maggiore età emozioni importanti, che poche giovani possono avere il privilegio di raccontare: "Per me è un po' complesso fare una classifica, tra i momenti più alti che ho vissuto metterei l'esordio in EuroLeague Women e la Coppa Italia di quest'anno, perché lì mi sono sentita più parte del gruppo". E quella Gara 2 delle Finali Scudetto 2022, 1'40" giocati contro Bologna? "Lì ho esordito quasi per caso, in quella Gara 2 c'erano bisogno di portare un'italiana in panchina e la società, che mi aveva già fatto esordire a Lucca quell'anno, mi ha chiamato: ma a parte quegli episodi non avevo mai fatto trasferte o allenamenti con la squadra. Però è stata un'emozione molto forte lo stesso, per cui ringrazio sempre Schio".
Com'è per un giovane giocatrice vivere con le "Orange" giorno per giorno? "Giocare con Schio è bellissimo, aver la possibilità di stare fianco a fianco con giocatrici esperte e veterane di caratura internazionale. Senza mai sentirsi esclusa, poi: ho imparato tanto dalle italiane del Famila, con cui parlo di più in squadra, ed è incredibile perché non mi sarei mai immaginata di trovarmi lì con gente come Sottana, Crippa, tutte le ragazze che avevo visto solo in tv. Per me è sempre stato un sogno". Dall'esperienza, Martina sta assimilando tanto: "Ho imparato il modo di prendere sconfitte e vittorie in squadra, è tutto molto diverso da una giovanile. Da loro poi cerco di prendere anche l'approccio a una partita, con la giusta serietà ma anche quel pizzico di leggerezza nella fase pre-gara per smorzare la tensione: sento di averla portata con me anche nelle mie esperienze".
Chiaramente il percorso della giovane Mutterle è appena iniziato, i minuti arrivano con il contagocce e già una convocazione in panchina, per un top team di Italia ed EuroLeague, è una soddisfazione incredibile. Tuttavia, dopo alcune bellissime emozioni vissute è possibile lasciarsi con una riflessione: "Sin da piccola ho sempre sognato di esordire ad alto livello o vincere qualcosa in Italia, anche solo essendo lì. Probabilmente non mi sarei mai immaginata qualcosa come questa esperienza in America, la vedevo come qualcosa d'impossibile. Crescendo però ho capito come non fosse così distante, e ho iniziato a sognarla: quest'ultima è stata un'opportunità in cui non ho avuto neanche modo di realizzare troppo cosa stessi facendo, con l'invito arrivato poco prima della partenza, ma è stata un'emozione molto forte, paragonabile a quelle provate nel recente passato con Schio".
Il bello di realizzare i propri sogni, com'è capitato a Martina Mutterle, è che in fondo rimangono sempre sogni: per quanto li immagini, li accarezzi, li desideri, anche quando si materializzano non assumono una piena concretezza, ma mantengono un aspetto quasi etereo. Ce lo spiega lei ancora di più, con una delle sue ultime riflessioni: "Una volta che sei lì, sei conscia di avercela fatta ma quasi non ti sembra vero, non ti sembra come lo immaginavi tu: è come se lo sognassi ancora adesso, senza ricordare di aver fatto quell'esperienza. È un'emozione ogni volta che capita, ogni volta che posso scendere in campo: anche questo è il bello".