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Minacce e gara sospesa, Galanda: "L'arbitro di 17 anni ha dato un segnale agli adulti"

di Redazione Pianetabasket.com
Fonte: Corriere fiorentino - Marco Massetani

«Un arbitro minorenne che sospende una gara giovanile a causa degli insulti e delle minacce dei genitori, con il suo gesto compie un'azione giusta, dando un segnale forte, di grande coraggio. È bene che questi episodi vengano evidenziati e che tutti ne prendano atto». Giacomo Gek Galanda, una vita per la pallacanestro (un titolo con Siena, un argento olimpico ad Atene 2004, poi giocatore e dirigente a Pistoia, oggi consigliere federale) commenta così la vicenda che ha visto protagonista un fischietto toscano di 17 anni costretto ad abbandonare il parquet per le continue offese ricevute dai genitori delle due squadre durante la partita under 16 femminile tra Galli San Giovanni Valdarno e Castellani Pontedera.

«Diciamo che esiste un problema generale di cultura sportiva italiana — continua Galanda — ricordo che quando giocavo a basket al mio ultimo anno di high school negli Stati Uniti, ti insegnavano a rispettare la figura dell'arbitro, perché l'arbitro come tutti può sbagliare. Da loro insultare un direttore di gara equivale a coprirsi di un'onta. Qui in Italia sono imbarazzato quando vedo certi comportamenti verso la classe arbitrale, specie quando i protagonisti sono i genitori. Purtroppo la vittoria è diventata l'obiettivo principale verso cui spingere i propri figli, mentre la priorità dovrebbe essere la crescita. Non c'è niente di più bello che assistere alla felicità di un giovane, a qualsiasi squadra appartenga, dopo che ha realizzato un canestro».

Nell'era digitale e social che coinvolge ogni momento della quotidianità Giacomo Galanda lancia una provocazione: «Sarebbe interessante non solo puntare gli smartphone sul campo ma anche rivolgerli verso le tribune, registrare cosa fanno i genitori e segnalare quelli che sbagliano. Questi genitori si renderebbero conto di come essi stessi si trasformino, uscendo di senno. E poi dobbiamo abbandonare le ipocrisie di linguaggio, come ho detto nel mio intervento tenuto nei giorni scorsi a Firenze in occasione del convegno Novis. Non chiamiamo tifoso chi insulta, chiamiamolo pure insultatore, partiamo con il creare distinzioni di termine».

Un messaggio positivo è comunque arrivato di recente dalla pallacanestro dei grandi. «Nel corso delle Final Eight di Coppa Italia le tifoserie di tutte le squadre sono state ammirevoli per il loro comportamento e per il loro rispetto verso arbitri e avversari — conclude Galanda — io che ho giocato per molti anni, ho sempre scelto piazze dove c'era un tifo corretto. Perché in campo, quando senti il tifoso che incita e non quello che offende, riesci a ricavare una carica maggiore. Dal professionismo possono arrivare modelli da raccogliere mentre a livello giovanile c'è da lavorare molto, senza tirarci indietro dal condannare con fermezza i cattivi esempi».


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