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The FIBA-Euroleague War: Novak prepara le battute finali

di Redazione Pianetabasket.com

Verso l'ultimo capitolo la FIBA-Euroleague War: oggi le Federazioni Nazionali dovranno prendere i provvedimenti del caso, domani il board di FIBA Europe prenderà le sue decisioni, dopo aver vagliato tutte le posizioni in campo. Così Novak ne parla con Flavio Vanetti per il Corriere della Sera.

Kamil Novak, classe 1967, ha un ricordo speciale dell'Italia: «Nel 1999 trascorsi le vacanze in Toscana e assistetti in tv al trionfo degli azzurri al campionato europeo. Be', fino a pochi giorni prima in Francia c'ero pure io. La mia Cecoslovacchia fu la sorpresa del primo turno e nel secondo affrontò anche la vostra nazionale: perdemmo male, Le Mans fu un capolinea. Ma eravamo contenti».

Di sicuro l'ex g.m. dei Frankfurt Skyli-ners, dall'ottobre 2012 segretario generale di Fiba-Europe (sezione della Federazione internazionale del basket), sarà meno contento di passare per colui che ha tirato una bomba atomica nella casa dei giganti. Il documento di sospensione dei 14 Paesi  Italia inclusa  , sempre che i club ribelli non rientrino nel solco di Santa Madre Chiesa (dei canestri) è firmato da lui. Siamo all'inizio o, per assurdo, alla fine di una guerra? «Non mi piace parlare di guerra. Ma è triste che ci sia questo contenzioso tra due realtà che rappresentano uno sport d'alto livello. Sembra che i soldi nel basket li investa solo l'Eurolega. Però la Fiba ne spende un mucchio per la base e dà chance di crescita pure ai piccoli».

Novak precisa di non voler replicare alle parole del com-missioner Tordi Bertomeu, leader di chi, nel 2000, ha percorso il sentiero di dare vita a una specie di mini Nba d'Europa (opera ancora incompleta): «Non rispondo a lui, fate domande voi». La prima, allora. Perché l'attacco all'Eurolega? «Perché vogliamo riunificare le coppe secondo una visione legata non solo all'alto livello e ai soldi. Abbiamo un'idea più democratica, basata sulla solidarietà: tutti devono coltivare il sogno di competere e di progredire; è un concetto che applica perfino il calcio con la Champions League, perché non seguirlo? I vostri campionati di basket danno l'esempio: ora in Europa giocano club che poco tempo fa non erano nemmeno in serie A. Noi riproduciamo quel modello su scala internazionale».

A un portale israeliano, il segretario avrebbe dichiarato che l'Eurolega «viola costantemente gli accordi del 2004», che «prende decisioni unilaterali sulle regole e sui pagamenti ai team». Avrebbe, sottolineiamo. «Non rammento di aver parlato proprio così» dice Novak. Ma conferma la conclusione: «La Federazione internazionale è l'istituzione che governa il basket: non rimarrà in ostaggio di questa situazione». Già avvenuto, peraltro.

Nell'autunno 2015 Patrick Baumann, segretario generale della Fiba (dunque il superiore in grado di Novak) ha impresso la svolta: coppe sotto l'antico tetto. Non si poteva discuterne per tempo? «Ci sono stati vari incontri, ero presente anch'io. Mi fa sorridere che Bertomeu dica che le loro lettere non hanno avuto risposta...». È la prima stoccata all'Eurolega.

La seconda è sulla dimensione che ha assunto: «Vuole creare la Nba d'Europa? È già simile a una Nba... Ma non vado oltre, c'è un procedimento legale in atto in Lussemburgo». In merito alle sospensioni che potrebbero diventare squalifiche, Novak ha sassolini da levarsi dalle scarpe («Qualcuno credeva che Fiba-Europe fosse un ufficio e basta») e spiegazioni da fornire: «Perché attaccare le federazioni e non i club che hanno firmato per Eurolega? Perché il nostro interlocutore non sono le società».

Molti Paesi, Italia in primis, hanno inviato la lettera che conferma lealtà la Fiba. Ma Novak sottolinea che il «fuori pericolo» (di esclusione) lo può sancire solo domani il board della Fiba, che deciderà pure sull'estensione delle sanzioni ai Giochi e ai Mondiali. Possibile non vedere una Spagna a Rio? «Possibile, ma non sta a me dirlo. Sarebbe comunque un passo sofferto». Sotto sotto, insomma, cova il fuoco della mediazione: «Noi siamo aperti al dialogo. Purché ci diano ascolto».

 


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