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Italians, Nicola Alberani: “Strasburgo e l’eccezionalità di essere normali”

di Redazione Pianetabasket.com
Fonte: FIP

Con un traffico clemente, ci sono circa quattro ore di auto tra Strasburgo e il confine con l’Italia, pur dovendo obbligatoriamente passare per la Svizzera. Una distanza ancora inferiore considerando la possibilità di prendere un aereo, per una tratta resa decisamente popolare dal fatto che la città dell’Alsazia è la casa del Parlamento Europeo. Parliamo di meno di 400 km, una distanza decisamente inferiore a quella che divide due città molto importanti per il percorso professionale di Nicola Alberani, ovvero Forlì e Avellino. Il luogo dove tutto è iniziato, nel mondo della pallacanestro, e dove si è interrotto parlando di esperienze italiane.

Sono cinque stagioni, con l’annata 2024/25, che Alberani è alla guida della sezione sportiva del SIG Strasburgo, squadra che entro la fine del decennio festeggerà il suo centenario e da 30 anni habitué della massima serie francese oltre che presenza quasi fissa nelle coppe europee. Francia e Italia sono paesi storicamente “cugini”, separati da un confine naturale come quello delle Alpi. Quando però si tratta di sport, e di basket, la distanza non è così facilmente percorribile. “C’è la differenza tra la Terra e Plutone, è una roba che non ci si crede”, ci dice Alberani. “Ci sono cose che qui sono eccezionali come aspetti dove noi, in Italia, siamo speciali o anche anni luce avanti”.

Per vivere al meglio il passaggio tra due realtà così vicine eppure così lontani, è stato fondamentale “prendere il meglio di quello che c’è qui, senza esagerare rispetto a quello che è stato il mio background italiano. È un campionato importante, da qui sono due anni che esce fuori la prima scelta NBA, ci sono tre squadre di Eurolega e lo scorso anno le due finaliste Eurocup venivano da qui. C’è una diffusa abitudine, da parte delle franchigie NBA, di prendere consultant o scout qui in Francia perché ormai il talento è qui come in Spagna o i Balcani. È una realtà che fornisce degli stimoli nuovi tutto il giorno”.

Uno stimolo, ad esempio, è rappresentato dalla differenza fondamentale ricoperta dagli stessi club rispetto all’Italia. “Nel nostro Paese tutto viene fatto con una pressione, un’attenzione verso il risultato che qui manca. Sono due ambienti non comparabili. In Francia i club sono delle istituzioni, con tutto quello che questo comporta. Sponsor, comunicazioni, relazioni con la città e le sue realtà come le scuole, gli ospedali, in generale la partecipazione della comunità alle sorti della squadra: qui tutto questo è un aspetto importante”, continua Alberani. “Quando scegli un giocatore questo deve essere soprattutto un cittadino. Vincere è importante, ma sono importanti anche altre cose. In Francia gli spettatori vanno a vedere delle istituzioni, in Italia le squadre vanno a palazzo per spingere le loro squadre alla vittoria”.

Nel concludere questo passaggio, Alberani sottolinea come “la cosa più importante è accettare tutto quello che di buono c’è qui cercando di portare, nella misura in cui è possibile, quanto in Italia sappiamo fare meglio, con più attenzione e spinta, che qui a volte viene sottovalutato o non è neanche conosciuto. Secondo me nel nostro paese siamo un po’ sfortunati con l’hardware, ma col software siamo bravi”. Altra osservazione cruciale, nel capire queste differenze tra realtà, sta anche nella definizione dei ruoli. A cominciare da quello ricoperto dallo stesso sport: “La pallacanestro è un aspetto del club, non l’aspetto”.

“In Italia quello che fa la squadra è il dirigente più importante”; prosegue, “il progetto sportivo è quello che guida il tutto. In Francia non esistono i proprietari, i presidenti sono sempre eletti e coordinano un capo dello sport e uno del business. Devi cercare con intelligenza di entrare in un sistema cercando di fare capire il più possibile l’importanza della performance, del fatto che bisogna vincere e di quanto sia importante. In Italia siamo molto bravi in questo, c’è una cultura della performance, dello staff, di far sì che le cose vadano il meglio possibile affinché la palla entri che mi sono portato qui e mi caratterizzano soprattutto in questo campionato”.

Nell’ultima estate, con il successo delle squadre francesi all’Olimpiade di casa a Parigi, abbiamo visto quanto sia variegato e variopinto lo scenario delle discipline di squadra nel paese oltralpe. Fare basket in Francia comporta dover dividere la ribalta con una concorrenza elevata, e Strasburgo non fa eccezione: “Avendo noi degli spettatori e non dei tifosi, si tende a partecipare a tutti gli sport che rappresentano la tua città, a dare grandissima dignità a tutti gli sport di squadra. Esistono condizioni lavorative che consentono tutto questo, è un mondo dove si creano posti di lavoro. C’è l’hockey su ghiaccio a Strasburgo che ha un allenatore alla sua 31esima stagione, dove esiste in Italia qualcosa così? È più che quando sei dei loro lo sei per davvero. Il risultato è importante, ma ci sono allenatori che retrocedono e ripartono l’anno dopo. A volte sento che vengo dalla luna o che ci stanno loro. Siamo una squadra di rango in un ambiente dove devi cercare di fare capire le cose importanti, sempre con gratitudine perché il contesto ti mette nelle condizioni migliori per fare il tuo lavoro”, sottolinea Alberani. “Non è tutto nero o tutto bianco, bisogna essere pronti a fare sacrifici importanti. Quando vai all’estero sei sempre ospite, occorre uno spirito d’adattamento incredibile”.

A ribadire la centralità francese nel basket europeo degli ultimi anni ci ha pensato la NBA. Complice il fattore Wembanyama, l’attenzione della lega oltreoceano sul campionato transalpino è aumentata a dismisura e questo coincide con una produzione di giocatori continua e ad altissimo livello. “Qui ti senti veramente al centro del mondo”, ci dice Alberani. “Noi abbiamo un ragazzo come Dessert e ci sono squadre che all’1 dicembre sono già venute a vederlo più volte. Vedi l’attenzione ai giocatori, un progetto come l’Insep, in generale la sensazione comune di contribuire a qualcosa di grande. La realtà è che la NBA è dietro l’angolo. In Italia non c’è una produzione così e la NBA viene vista come dall’altra parte dell’Oceano, in Francia è già qui. Noi possiamo avere delle belle generazioni, ma qui sono forti tutti, è una produzione genetica ad altissimi livelli. E non so quanto un progetto come l’INSEP possa essere declinato in toto in Italia”.

È importante anche il confronto con l’estero: “Rispetto al nostro Paese, qui la Coppa è vista come una necessità perché noi dobbiamo produrre eventi, al di là del fatto che noi abbiamo pubblici differenti. Se facciamo la coppa abbiamo in settimana il pubblico delle aziende, i loro invitati e i pacchetti aziendali mentre nel fine settimana abbiamo le famiglie. Però è una necessità, e i giocatori la vivono come un momento eccitante, in Italia non è così: è un male necessario. Per noi è molto importante ritornare il più in fretta possibile in Europa. La Coppa mi ha aiutato tantissimo dal punto di vista personale e professionale, è stato un dono che mi ha aiutato molto”.

Impossibile non chiudere questa panoramica con uno sguardo al futuro, con la quinta stagione in pieno svolgimento e – per Strasburgo – la grande soddisfazione della recente vittoria sull’ASVEL, reduce dal successo in Eurolega sull’Efes. “Mi trovo molto bene qui, ho un contratto stabile, ma è anche vero che l’Italia ha delle cose che mi mancano molto”, dice Alberani. “Nel nostro lavoro finché hai un club dietro che senti di essere allineato che fa di tutto per vincere, in cui si condividono gli obiettivi, è giusto rimanere. Il giorno in cui non sarà più così sarà giusto andare via, magari – perché no – tornando in Italia se ci saranno le condizioni. Se dovessi mai lasciare Strasburgo non mi vedo in un altro club francese e mi piacerebbe tornare in Italia. Perché sarebbe un adattamento nell’adattamento, qui sono riuscito in cinque anni a cambiare le cose. Ho fatto le mie piccole battaglie e conquiste, tante cose sono state create. Qui mi ci vedo, è una realtà che mi sento addosso come una seconda pelle ma un domani onestamente mi piacerebbe tornare in Italia”


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