.

"Bill il Rosso", l'addio a una leggenda del basket di Blazers e Celtics

di Redazione Pianetabasket.com

(di FRANCESCO RIVANO). “Quando la vita sembra una strada facile, c’è il pericolo alla tua porta
Sembra quasi che questa frase sia stata scritta dai Grateful Dead per uno dei loro più accaniti fan, non una persona qualsiasi, ma una persona della quale la vita si è presa gioco regalandogli un grande talento per poi rubarglielo proprio quando la vita sembrava dovesse essere una strada facile. Se c’è stato un Jokic prima di Jokic questo aveva una folta chioma rossa e una miriade di lentiggini sul viso. Peccato che abbia trascorso più minuti in infermeria che in campo.

 “Denny, domani ti spedisco a San Diego a visionare un ragazzo di cui si parla un gran bene. Io credo poco a queste voci di corridoio però credo sia il caso che tu vada a dare un’occhiata”. E così Denny, assistente di coach John, non esita neanche un momento e la mattina dopo si mette in auto per raggiungere la Helix High School. Denny fa quello che meglio sa fare, riconosce il talento e quel ragazzo lo stupisce, anzi lo rapisce, tanto da presentarsi il giorno seguente davanti alla scrivania del coach con una relazione che etichetta il giovane della Helix come il miglior liceale mai visto. “Denny, non far mai più un commento così stupido. Ti fa sembrare un idiota. Figuriamoci se un ragazzo coi capelli rossi e le lentiggini, per giunta proveniente da San Diego, possa essere il miglior High Schooler mai visto. Non c’è mai stato un giocatore  decente proveniente da San Diego”. Chi sono i personaggi di questa breve storia? Denny è Denzel Edwin Crum super allenatore a livello collegiale capace di portare i Louisville Cardinals a vincere il torneo NCAA per ben due volte; Coach John è Coach Wooden e non sto qui a elencarvi la sua carriera e il suo palmares perché ci vorrebbe un articolo a parte; il ragazzo delle Helix High School era, da ieri purtroppo dobbiamo usare il verbo al passato, Bill “il rosso” Walton.

La fortuna; chissà cosa sarebbe successo al mondo del basket se il ragazzotto dai capelli rossi e le lentiggini fosse stato preso per mano dalla Dea Bendata e accompagnato lungo la strada impervia della sua carriera; chissà  di che parleremmo oggi se la Dea si fosse innamorata del giovane Bill così come si innamorò di Servo Tullio ai tempi dell’antica Roma. Staremmo parlando di un dominio spropositato che avrebbe rotto diversi equilibri, saremmo qui a snocciolare statistiche e record ancora da infrangere. Nulla di tutto ciò, la sorella cattiva della Dea Bendata, che tanto bendata non è e che anzi, ha una vista piuttosto arguta, ha deciso di giocarci un brutto tiro che, grazie al cielo, non ci ha privato  in maniera assoluta di uno dei più grandi talenti di sempre.  Bill nasce a La Mesa, nel profondissimo e caliente Sud della California e già alle prime uscite con la palla in mano tende  a farsi notare per le grandi capacità fisiche e tecniche. Segna a raffica e mostra al contempo una straordinaria attitudine alla fase difensiva. Da High Schooler è praticamente immarcabile, a livello collegiale, a UCLA,  è semplicemente la perfezione prestata al gioco. Nelle prime due edizioni dei Bruins targati “Bill il Rosso” i ragazzi di Westwood non conoscono il significato della parola sconfitta e Bill domina le finali nel ’72 e nel ’73 con le rispettive prestazioni: 20 punti conditi da 24 rimbalzi bissati dai 44 punti dell’anno seguente. La striscia dei ragazzi di coach Wooden si estende fino alla semifinali del torneo NCAA del ’74 e li si interrompe, dopo 88 W e due tempi supplementari dai quelli ne escono vincitori i Tar Heel guidati da un magistrale  David Thompson.

Ricordate il parallelismo con Jokic? Bill non pensa solo al Basket. Il ragazzo di Sombor fuori dal parquet si dedica ai cavalli, Bill fuori dal parquet, durante la sua vita in ateneo, si contraddistingue per l’attivismo pacifista culminato con la dichiarazione rivolta niente meno che al Presidente Nixon in merito alla Guerra del Vietnam: “La sua generazione ha rovinato il mondo. La mia sta provando a risollevarlo. Il denaro non significa niente per me: non può comprare la felicità e io voglio essere felice”. Una dichiarazione altisonante che provocò l’arresto dello studente. Bill nel 1974 diventa la prima scelta assoluta al Draft, e ad assicurarsene le prestazioni sono i Portland Trail Blazers. La partenza è al fulmicotone e nelle prime sette gare Bill si conferma sugli standard del College Basket, ma la pacchia dura ben poco perché a bussare alla porta di casa Walton arriva un’ospite assai poco gradita; Madame Sfiga. Il lettino del medico diventa il suo habitat naturale e molti dubbi iniziano a trapelare tra gli addetti ai lavori, pronti ad etichettare Bill come un grande Flop. Il 1976 inizia con i Blazers finalmente al completo e le 65 partite disputate da Bill assicurano un record di tutto rispetto. Tutti non aspettano altro che il nuovo stop del centro da UCLA ma questa volta Bill lascia tutti a bocca aperta. La raffinatezza del suo gioco finalmente dispiega le proprie ali e come il brutto anatroccolo che si trasforma nello splendido cigno, incanta la platea innescando in Oregon la BlazerMania. Portland arriva alle Finals senza intoppi, superando in finale di conference i Lakers di Kareem con un devastante sweep. Bill domina la scena e nella Finals, in una sfida all’ultimo sangue con un altro super eroe della lega, il Doctor J, ribalta il 2 a 0 iniziale fino a portare in cima per la prima, e fin ora ultima volta, i Blazers. Un po’ come ha fatto Jokic con Denver. 20 punti, 23 rimbalzi, 7 assist e 8 stoppate in una gara 6 decisiva che gli vale anche l’onorificenza di MVP delle Finals. Ormai in Oregon c’è un dominatore assoluto, pronto a stracciare ogni avversario negli anni a venire e le prime 60 partite della stagione successiva confermano il trend. Toc- Toc. Chi è?  Sempre lei, Signora sfortuna che entra a gamba tesa su Bill stendendolo con un tackle degno del celeberrimo Vinnie Jones. A Bill viene consegnato il meritatissimo premio di MVP della regular ma i Blazers orfani del loro leader tecnico non riescono a ripetersi. La carriera di Bill entra da qui in poi in un tremendo cul de sac. Avete presente quei sogni nei quali vuoi fuggire da qualcosa di veramente pericoloso ma le gambe non rispondono, sono pesanti come macigni? Quei sogni nei quali capisci che non puoi mai farcela e che la fine sta per arrivare? Ecco, questa è la spiegazione esatta della vita cestistica della vita di Bill fino al 1983.  Costretto a saltare la stagione  ’78-79 passa ai San Diego Clippers nella stagione che segue riuscendo a disputare la bellezza di 14 partite in tre anni. Due anni di inattività sono un enormità anche per un dilettante abituato a calcare i parquet della seconda divisione, immaginatevi per un professionista, già MVP sia della RS che delle Finals. Il rientro, sempre con la casacca dei Clippers è fissato nel 1983, anno dal quale ripartire per riprovare la scalata verso la cima della montagna. Due anni di rodaggio a far da chioccia ai compagni fino all’approdo in maglia verde dei Celtics. Il fisico non è più lo stesso della carriera universitaria ma Bill Walton che esce dalla panchina è un arma illegale ingestibile dagli avversari già sfiancati dal terzetto Bird-Parish-Mc Hale. Boston registra 67 W e si sbarazza facilmente della compagnia delle altre contender stravincendo il titolo. L’importanza di Bill in quei Celtics è suggellata dal premio di sesto uomo dell’anno e i Verdi ci riprovano l’anno successivo perdendo questa volta le Finals contro gli acerrimi rivali in giallo viola. Bill ne ha abbastanza, decide di lasciare non vuole più soffrire fisicamente. Abbandona la Lega lasciandosi dietro un rimpianto di quello che avrebbe potuto realmente fare se solo la salute lo avesse assistito. I segni indelebili della sua tortuosa carriera erano ancora ben visibili ad ogni passo mosso con fatica dal fenomeno di San Diego, ma nonostante ciò non ha mai lesinato un sorriso a fan, giornalisti e telespettatori. Chi ha avuto la fortuna di incrociarlo casualmente all’aeroporto di Parigi racconta di aver avuto a che fare con una persona “Super”, disponibile, pronto a discutere di basket e della vita sia che abbia avuto di fronte il suo più caro amico o un giornalista italiano che passava di lì per caso. Quando la vita sembrava dovesse essere una strada facile, lontano dal campo e quindi lontano dagli infortuni e dal dolore, il pericolo si è presentato alla sua porta e questa volta con le sembianze di un avversario che non si è mai trovato di fronte sul campo, un avversario più forte, più testardo, più malvagio di lui. Riposa in pace Bill e una volta arrivato lassù ritorna a indossare scarpette e canotta, perché se  vero che in Paradiso non c’è dolore ma solo gioia, avrai l’eternità per prenderti quello che qua giù ti è stato tolto.

___

Francesco Rivano nasce nel 1980 nel profondo Sud Sardegna e cresce a Carloforte, unico centro abitato dell'Isola di San Pietro. Laureato in Economia e Commercio presso l'Università degli Studi di Cagliari, fa ritorno nell'amata isola dove vive, lavora e coltiva la grande passione per la scrittura. Circondato dal mare e affascinato dallo sport è stato travolto improvvisamente dall'amore per il basket. Ha collaborato come redattore con alcune riviste on line che si occupano principalmente di basket NBA, esperienza che lo ha portato a maturare le competenze per redigere e pubblicare la sua prima opera: "Ricordi al canestro" legato alla storia del Basket. E da pochi giorni ha pubblicato la sua seconda, dal titolo "La via di fuga" Link per l'acquisto del libro. Francesco Rivano ha presentato il suo libro nella Club House della Dinamo Sassari.


Altre notizie
PUBBLICITÀ