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NBA - "Flash is here": la resilienza di Dwayne Wade rende grandi i Miami Heat

di Redazione Pianetabasket.com

(di FRANCESCO RIVANO). From the cradle to the grave. Non sono tanti i giocatori che affrontano la loro carriera “from the cradle to the grave” con la stessa squadra. Jerry West, Magic Johnson, Larry Bird, Kobe Bryant, Tim Duncan, non nomi banali, tutti personaggi che hanno fatto della loro canotta una seconda pelle, un motivo di orgoglio, emblemi di una città e di una tifoseria da rappresentare. Giocatori che rimarranno per sempre nella storia della franchigia che ha creduto in loro al momento del Draft, giocatori in grado di ripagare qualsiasi sforzo fatto per averli, per formarli come uomini e come sportivi, per curarli e coccolarli nei momenti di difficoltà. Jolinda abita a South Side, Chicago Illinois, e a vent’anni ha appena partorito il suo terzo figlio. South Side si trova nelle immediate vicinanze dello United Center ma oltre al basket, è noto anche come il quartiere nel quale si svolge la maratona di Chicago. Ecco, questo per quanto riguarda lo Sport. Per quanto riguarda la vita sociale a farla da padrona sono le gang e l’elevato tasso di criminalità.

I rapporti tra Jolinda e il marito sono piuttosto logori e il signor Dwyane Senior, dopo appena quattro mesi di vita del suo terzo erede, pensa bene di abbandonare il tetto coniugale per trasferirsi in altri lidi in nuova compagnia. Nessun problema per Jolinda che trova ben presto come rimpiazzare l’ex marito. Droga e alcool sono compagni di vita molto più affidabili, che non la abbandonano, che sanno come farsi desiderare ed amare e poco importa se inibiscono la capacità di svolgere quel ruolo materno che la grazia divina, e le nottate con Dwyane Senior, le hanno gentilmente concesso. La vita per il piccolo Dwyane non parte esattamente con il piede giusto e su quella falsa riga sarebbe proseguita per molti anni, gang permettendo, se non fosse intervenuto il coraggio della sorella maggiore Tragil. “Andiamo al cinema piccolino, ti accompagno io”. Quel cinema Dwyane, all’età di nove anni, non lo vedrà mai. Tragil accompagna il fratellino minore a casa del padre e li lo abbandona, nella speranza di dargli una vita migliore, nella speranza che la famiglia del padre possa garantirgli un futuro lontano dalla criminalità e dalla desolazione. Se da un lato Dwyane abbandona la strada e le gang di South Side, dall’altro si ritrova a competere con i fratellastri non proprio gioiosi di rapportarsi con quel moccioso. Giocare a Basket con chi è più alto, più grosso e più grande di te è un inferno se il tuo avversario non mostra un minimo di pietà e il fratellone Demetris non fa sconti. Stoppate, spintoni, trash talking: è questa la scuola di Dwyane. Se la tua formazione deriva da un contesto paragonabile alla “Tana delle Tigri” del fortunatissimo manga “L’Uomo Tigre” puoi avere difficoltà all’inizio, puoi subire addestramenti duri, al limite della violenza e della decenza, ma cresci più forte degli altri e Dwyane, alla Richards High School è più forte degli altri e vola in testa a parecchi dei suoi coetanei. Ma i continui paragoni con il fratellastro Demetris, vera stella della scuola, lo fanno demordere, abbandonare il basket, per dedicarsi al football. Con la palla ovale tra le mani  non deve subire confronti con nessuno. Per fortuna le divinità sportive hanno letto la Bibbia e, prendendo spunto dalla folgorazione di Paolo sulla via di Damasco, riportano Dwyane sulla retta via e più precisamente su un campo da basket. Ventisette punti di media nella sua ultima stagione alla Richards e il reclutamento dell’Università di Marquette.

Però caro Dwyane per entrare a far parte della squadra c’è bisogno di voti e valutazioni positivi. Il coach Tom Crean non vuole farsi sfuggire un talento del genere quindi decide di coinvolgerlo nel team nonostante la scarsa propensione allo studio, dandogli un ruolo di assistente, permettendogli di allenarsi con la squadra, di apprendere schemi e mentalità di gioco, nell’attesa che quei voti migliorino. E quei voti migliorano. Il secondo anno di Dwyane a Marquette lo vede finalmente in campo con la casacca giallo blu ed è la consacrazione della visione di Coach Crean. Dwyane è il leader tecnico della Marquette che approderà alle Final Four del 2003. Non vince quella edizione del torneo NCAA, a vincere sarà la Syracuse di coach Boeheim e di Carmelo Anthony, ma il 2003 è un anno cruciale per la vita privata e sportiva del giovane ragazzo partito da South Side. Durante la Final Four, rincontra la madre, carcerata da tempo e in permesso per ammirare le gesta del figlio, mentre dal punto di vista professionale vedrà il suo appeal crescere notevolmente da parte delle franchigie NBA. Se vi cimentaste in un semplice sondaggio basato su un piccolo sforzo di memoria siamo sicuri che il risultato sia tendente all’unanimità della risposta. Qual è il draft più produttivo di talento dell’ultimo quarto di secolo? Sicuramente quello del 2003. Lebron James alla uno; ora chiudete un attimo occhi e orecchie: Darko Milicic alla due. Bene riapriteli. Carmelo Anthony alla tre, Chris Bosh alla quattro, Dwyane Wade alla cinque. Sono gli Heat di Miami ad assicurasi i servigi del ragazzo da Marquette ma la partenza non è delle migliori; sembra di rivivere i paragoni con Demetris. Sono il Prescelto e il go to guy degli Orange campioni collegiali ad assicurarsi le copertine dei quotidiani sportivi statunitensi con le casacche di Cleveland e Denver. Tanto più che Dwyane è costretto ai box per un infortunio al polso. Ma Dwyane sa che la strada è lunga e non si abbatte, ha già vissuto questa esperienza e lavora duro per scalare i vertici di quella gerarchia.

Dopo un anno da rookie da 18 punti di media 5 assist e 4 rimbalzi che portano gli Heat non oltre il primo turno di playoffs, Miami affianca alla sua talentuosa promessa Shaquille O’Neal. The Big Aristotele, che ne ha viste tante nelle sue esperienze ai Magic e ai Lakers, rimane impressionato da Dwyane e gli affibbia il soprannome “Flash” per l’immaginifica velocità messa in mostra sul parquet. Il duo delle meraviglie porta gi Heat sulla cartina delle mappe NBA come squadra ambiziosa e volenterosa di giocarsi il titolo. Il primo anno Wade e Shaq scollinano oltre le 50 vittorie in regular season, ma dopo aver battuto agevolmente Nets e Wizards sono costretti ad arrendersi alla macchina perfetta dei Pistons di Coach Larry Brown in finale di Conference. L’entusiasmante stagione di Miami spinge il Gm Pat Riley a dar vita allo scambio più numeroso della storia della Nba (ben 13 giocatori che cambiano maglia nello stesso affare) e nell’estate del 2005 in Florida arrivano giocatori di esperienza e di notevole livello come Gary Payton, Jason Williams, Antoine Walker e James Posey. Gli Heat sono gli ovvi favoriti ma l’infortunio di Shaq a metà stagione sembra creare problemi che coach Stan Van Gundy non riesce a risolvere. Pat  Riley sa che quello è l’anno buono, licenzia Van Gundy, dismette la veste da dirigente per rivestirsi di quella da allenatore e traghetta gli Heat fino a fine stagione. Shaq rientra e i Playoffs sono una formalità. Si approda alle Finals 2006. Di fronte ci sono i Dallas Mavericks di Dirk Nowitzki che sembra debbano dominare. Le prime due partite in Texas filano via senza appello per gli Heat e gara tre sembra dover essere la mazzata definitiva per la franchigia della Florida. I Mavs sono a più 13 a sei minuti dalla fine e il 3 a 0 sembra scritto. “Don’t fear Flash is here”. Wade ha vissuto tutta la sua vita partendo in svantaggio sugli altri, da bambino nelle strade di South Side, da adolescente contro Demetrius, al Draft contro Lebron e Carmelo, ma lui viene da Tana delle Tigri e sa come uscire dai guai. Gli Heat ribaltano la partita e strappano la vittoria in gara tre e da li in poi non si guarderanno più indietro. Impattati i Mavs in gara 4, Wade si scatena nel quinto episodio mettendo a referto 42 punti. L’inerzia ora è tutta dalla parte degli Heat e la carica motivazionale che è in grado di trasferire coach Riley fa pensare che tutto sia possibile. Si ritorna a Dallas sul 3 a 2 Heat con il minimo necessario per fermarsi in Texas una sola notte. 36 punti, 10 rimbalzi, 5 assist, 4 recuperi e 3 stoppate per Flash nominato ovvio MVP delle Finals. La storia per Miami è scritta, primo titolo per gli Heat, primo titolo per Dwyane Wade.

Negli anni successivi Wade viaggia in altalena, gli infortuni a spalla e ginocchio e le scelte della dirigenza poco intuitive e perspicaci fanno si che Miami viaggi nella terra di mezzo della Lega fino al momento della “Decision”. Nell’estate del 2010 Lebron James, decide di abbandonare l’Ohio e di accasarsi in Florida, subito dopo l’acquisizione di Bosh da parte degli Heat. Saranno quattro anni memorabili per Miami, spettacolo puro per i fan dell’American Airlines Arena, quattro Finals consecutive nelle quali i Big Trhee, ai quali si aggiunge Ray Allen, usciranno sconfitti al primo e all’ultimo tentativo contro Mavs e Spurs mentre si aggiudicheranno l’anello nelle due occasioni di mezzo contro Thunder e sempre contro gli Spurs. L’abbandono di LeBron e il suo ritorno a Cleveland lascia una voragine incredibile nel roster di Miami che disputa nel 2014/2015 la sua stagione più brutta dal 2007/2008. Nonostante ciò la stagione lascia in eredità  buoni spunti per affrontare quella successiva. La rinascita fisica di Wade, tornato a essere il primo violino dell’orchestra Heat, l’esplosione del centro Witheside, le maggiori responsabilità assunte da Bosh l’avvento di ottimi giocatori come Deng e Dragic contornati da giovani di belle speranze riportano Miami a recitare un ruolo di primo piano nella Eastern Conference targata 2015/2016 che si interrompe solo a Gara 7 delle semifinali per mano dei migliori Raptors di sempre. Ma da li in poi qualcosa va storto. La Free Agency, il tira e molla tra la franchigia e l’uomo che di quella franchigia è stato il simbolo e la rottura definitiva. Il crac che non ti aspetti e l’homecoming, in quella South Side Chicago dalla quale partono le radici di Wade, la parentesi ai Cavs con l’amico LeBron, il ritorno in Florida e il ritiro. Tre titoli NBA, un MVP delle Finals (il più giovane di sempre), un MVP dell’ All star Game 2010 e una tripla doppia all’All Star game del 2012 (come lui solo MJ e Lebron James); miglior marcatore nel 2008/009, il più giovane di sempre ad avere una media di 30 punti nelle Finals, unico giocatore della storia a far segnare almeno 100 recuperi e 100 stoppate su singola stagione e un infinità di altri dati statistici che non possiamo star qui ad elencarvi. Tutto (o quasi) in maglia Heat, dalla culla alla tomba.

Francesco Rivano nasce nel 1980 nel profondo Sud Sardegna e cresce a Carloforte, unico centro abitato dell'Isola di San Pietro. Laureato in Economia e Commercio presso l'Università degli Studi di Cagliari, fa ritorno nell'amata isola dove vive, lavora e coltiva la grande passione per la scrittura. Circondato dal mare e affascinato dallo sport è stato travolto improvvisamente dall'amore per il basket. Ha collaborato come redattore con alcune riviste on line che si occupano principalmente di basket NBA, esperienza che lo ha portato a maturare le competenze per redigere e pubblicare la sua prima opera: "Ricordi al canestro" legato alla storia del Basket. E da pochi giorni ha pubblicato la sua seconda, dal titolo "La via di fuga" Link per l'acquisto del libro.


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