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Serie B - Stefano Bizzozi, i ventenni, il Fidenza-Lab "La palestra è un mondo reale"

di Redazione Pianetabasket.com
Fonte: Stefano Valenti/LNP

La sua squadra ha appena 20.3 anni di media. Anche per questo gli specializzati l’hanno battezzata come la forza numero 19 o 20 del Girone A. Ma nello spogliatoio non ci sono, affissi, manifesti motivazionali. “La nostra motivazione è essere giocatori migliori a fine campionato. Sulla strada del percorso di crescita, vuol dire aver vinto una partita pure se il tabellone ti dice che l’hai persa”.
Parla Stefano Bizzozi, anni 64, veneziano di Dolo, allenatore errante col chiodo fisso di far germogliare nei ragazzi con i quali si rinchiude in palestra da quarant’anni qualcosa di buono, se non molto buono, per la pallacanestro italiana.
“Il mio primo giorno fu con Massimo Mangano, che mi chiese quale fosse la mia ambizione. Ed aggiunse: “Tu devi arrivare ad allenare in Serie A, deve essere questo il tuo desiderio”. Ci sono arrivato, ma nelle mie corde c’era altro. Oggi guido una squadra senior, fatta di giovani”.

- E’ la Fulgor Fidenza, Foppiani sulle maglie, ed è solo l’ultima tappa di un percorso che l’ha visto allenare, tra le tante, le giovanili a Pesaro ed alla Fortitudo Bologna, alla Reyer Venezia ed a Varese. E le Nazionali Under 15 e 18. Tutto questo ieri. L’oggi, da due stagioni, è a Fidenza, presa in B Interregionale per trapiantarci il gruppo Under 19 di Eccellenza della Fulgor.
“Un po’ scelta di vita, non sono della zona ma dal 2009 vivo con la mia famiglia a Salsomaggiore. Ma a Fidenza non sarei mai arrivato se non ci fosse stato un Club attrattivo, che mi ha proposto una cosa intrigante. Lavorare su un settore giovanile già ben organizzato, con tanti ragazzi del posto, integrati da altri e da far crescere. Il rischio del non-risultato solo in apparenza va contro il progetto. Perché sono convinto, e lo è anche la Società, che a fine anno saranno tutti giocatori migliori”.

- La Società ha un mentore. Si chiama Andrea Orlandi, è il presidente della Fulgor. Oggi amministra con la famiglia un’azienda di successo nella moda femminile, ma per un decina d’anni è stato rugbista professionista.
“La sua mentalità è di cultura sportiva, merce rara. Ha coinvolto così molte persone nel Club, abbiamo oggi un palasport molto bello e spero, in un paio d’anni, anche “Casa Fulgor”: una palazzina a due piani, uno per la foresteria ed uno per la scuola, a due passi dal palasport. Lavoro sui giocatori, ma devono provare ad essere anche buoni studenti”.

- Il campo è in utilizzo esclusivo, 2000 posti, spazi ampi, ci lavorano quotidianamente preparatori fisici ed allenatori, con attenzione al territorio e non solo, reclutando.
“E’ la dimostrazione che si può fare, dare un seguito alle parole. L'impianto è fondamentale, lo abbiamo. Poi la pallacanestro nasce dalla base, ma servono riscontri e per averli bisogna mettersi alla prova. Si dice “…bisogna rilanciare i settori giovanili” ma chi lo dice lo pensa seriamente? E cosa facciamo per questo?”.

- Ma neanche a vincere la B Interregionale, a Fidenza, lo pensavano.
“Assolutamente. Siamo arrivati alle Finali Under 19, prima nel girone a pari punti con Olimpia Milano. E poi sull’onda vinto i playoff di B. E lì ci siamo detti “ci iscriviamo”? Ma più per rispetto del livello alto del campionato, per pudore. Ed il mio presidente: “…ce la siamo conquistata sul campo e la B Nazionale la facciamo. Ma, sia chiaro, il progetto non si cambia”.

- Chi sono i suoi giocatori?
“Ragazzi che si allenano prima e dopo la scuola. Nel gruppo abbiamo otto under 19, ne sono usciti un paio, sono entrati i 2006, il centro titolare è un 2007, il suo cambio è un 2005. Valsecchi, un 2004 da Milano, è uno dei vecchi…”.

- I vecchi veri sono tre, genericamente definiti senior. A sentirli illustrati sembrano quelli della Nazionale di calcio delle FarOer.
“Dei due del posto, Scattolin è un tecnico di radiologia e Galli un ingegnere. A Restelli invece spiegai “qui ci alleniamo come una giovanile, ci servi anche per dare un indirizzo”. Tutti e tre sanno parlare ai giovani. Ma lavorare sui fondamentali serve anche a loro… Domenica abbiamo giocato e lunedì fatto poco meno di tre ore di allenamento”.

- Domenica era il 6 ottobre, data della prima vittoria della Fulgor nella terza divisione nazionale, forse inattesa (e larga) su Crema.
“In estate i ragazzi si chiedevano se avrebbero giocato anche in B Nazionale. Domenica sono entrati in dodici, in quella prima in undici. I ragazzi vanno coinvolti ed allora ti danno tutto”.

- Quindi quelli di oggi come quelli che allenava vent’anni fa?
“La mia idea è che la pallacanestro giovanile sia diventata più complessa per quello che ci gira attorno. Io stesso ho cambiato di me diverse cose ma guardo al futuro attraverso il passato. L’esigenza è aggiornarmi, una volta all’anno vado negli Stati Uniti, ho amicizie nel mondo dei College, approccio i fondamentali con nuove metodologie, lì restano all’avanguardia”.

- Poi le porta in palestra ed i ragazzi di oggi come la guardano?
“Devi saper essere empatico, i ragazzi ti danno tutto come una volta, ma hanno altre combinazioni di vita che li tengono impegnati. E rapporti con un mondo che non sempre è reale, fatto di tanta informazione, non sempre vera ma nevrotizzante. Ecco, la palestra è rimasta un mondo reale”.

- Tanti giovani abbandonano quando “non si divertono più”.
“Io definisco il nostro un divertimento serio. Richiede impegno. Il tentativo è farli giocare sempre tutti, l’impegno ti ripaga con i minuti. Puoi giocare duro, l’agonismo dentro lo abbiamo tutti. Purtroppo l’aspetto sociale non aiuta per colpa di messaggi fuorvianti. Ma lo sport è salute, anche per la vita fuori dal campo. A volte è più difficile farlo capire ai genitori. Il fallimento non è il giocare di più o di meno, ma l’abbandono. Il nostro resta un mondo fortunato, viaggiamo ed è un’opportunità di crescita”.

- Come gioca la Fulgor Fidenza?
“Pochissima tattica, poco video, poca strategia. Lavoriamo al massimo sulle nostre qualità. Questo gruppo, da qui al primo aprile, giocherà 61 partite. Per questo abbiamo anche elementi dell’Under 17, non posso prosciugarli”.

- Al debutto ad Imola avete pagato l’emozione. Con Lumezzane perso nell’ultimo quarto per mano dell’ingrato Amici (28) suo discepolo alla Vuelle Pesaro. Poi il bel successo su Crema.
“La prima da inesperti totali, nella seconda Lumezzane è stata migliore di noi, nella terza noi migliori di Crema. E’ lo sport”.

- Qual è lo slogan che ripete ai suoi?
“Impara da ciò che subisci. E poi che devono sentirsi tutti giocatori di Serie B Nazionale. E non Under 19 che giocano in Serie B Nazionale. Che sarebbe diverso”.

- Quand’è che un giocatore finisce di essere giovane?
“Quando termina il suo percorso di crescita fisica ed atletica. Decisive per competere ad alto livello. Il secondo step è quando è disposto a battere se stesso ed i suoi limiti. Il terzo, il più difficile, è quando accetta di fare un passo indietro per dare ad un compagno. Un aiuto, un passaggio, una difesa”.

- E quand’è che un giovane lo hai perso?
“Quando svanisce il desiderio del confronto, con sé e con i compagni. Il piacere per la fatica, il lavoro, la durezza”.

- L’Under 19 è d’argento ai Mondiali e si dice “Devono giocare!”.
“Devono giocare se dimostrano voglia. A Pesaro vedevo grandi allenatori portare Costa e Magnifico a lavorare sul progresso e miglioramento. Ed allora li mettevi in campo. Ora è più complicato, le richieste dei Club ai tecnici sono diverse”.

- Che desiderio hanno i giovani di Fidenza per il loro futuro?
“A Varese si vive la Serie A e tutti vorrebbero giocare in Serie A. Qui è diverso, la provincia di Piacenza e Parma non è un posto di basket. Qui vengono a fare sport. La Serie B non ti fa montare la testa, sono felici. Il loro sogno è continuare a fare questo sport, e magari una convocazione in una Nazionale giovanile. Possiamo aggiungere “salvare Fidenza in B Nazionale”. Ma devono sognare la Serie A”.

- Il giocatore lanciato, tra i tanti, e di cui è più orgoglioso?.
“Andrea Cinciarini arrivò a Pesaro da guardia. Daniel Hackett se ne andò in America ed iniziammo a lavorare da playmaker. La sua carriera la conosciamo. Come quella di Claudio Coldebella. Lo reclutammo a Mestre che giocava ala forte a Castelfranco. Quasi due metri, grande forza mentale, andavano i play alti alla Brunamonti, accettò la sfida, la vinse. L’ultimo è Librizzi di Varese, buon atleta ma piccolino ma a 16 anni mi diceva “… giocherò in Serie A, ci credo”. Ci è arrivato”.

- E chi è rimasto il cruccio, sul quale aveva scommesso?
“Tutti quelli che si sono affidati al solo talento, perdendo di vista il sacrificio ed il lavoro. E poi si sono pentiti”.

- La soddisfazione più grande?
“Può sembrare un controsenso per un allenatore di basket. Ma dico quei ragazzi che non sono esplosi nello sport ma che, grazie alla disciplina dello sport, all’impegno ed allo spirito di sacrificio, sono diventati uomini migliori. Ed hanno raggiunto un buon successo nella vita”.


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