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Femminile: Gianni Recupido, l'orgoglio di essere ragusano

di Eduardo Lubrano

“Sono Ragusano ed ho sempre lavorato a Ragusa con le squadre e le persone della mia città. E se sarà possibile voglio continuare a farlo. Grazie alla famiglia Passalacqua ho avuto la possibilità di portare Ragusa in giro per l’Italia e per l’Europa e di tenere alto il nome della mia città nella pallacanestro. Ci credo e voglio insistere”. Parole e musica di Gianni Recupido, quasi 52 anni di cui 26 trascorsi sulle panchine delle squadre prima maschili e poi femminili della splendida città siciliana. Fino a quando nel maggio scorso lui e le società hanno annunciato la separazione dopo 9 anni, di crescita e successi.

Recupido perché questa separazione?

“Perché abbiamo capito che era arrivato il momento giusto di lasciarsi. Come dice il verso di quella canzone di Fabrizio De Andrè, Giugno ’73, “Meglio esserci lasciati che non esserci mai incontrati”. Un anno ancora e le cose sarebbero state molto più difficili e rovinose. Invece così abbiamo mantenuto ottimi rapporti, anche di amicizia. La società voleva cercare altre strade io avevo bisogno di nuovi stimoli. Tutti e due abbiamo apprezzato molto quello che ci siamo dati reciprocamente quindi bene così”.

Semifinali, finali scudetto, la Coppa Italia e sempre con un bel gioco. Come è nata la Passalacqua Ragusa dei sogni?

“Intanto voglio dire che io e la squadra siamo usciti dai playoff o abbiamo perso le finali sempre e soltanto dal Famila Schio che abbiamo incontrato nei suoi periodi migliori e che possiamo definire un po' più di una “bestia nera” come si dice nello sport. E’ nata con l’attenzione nella scelta delle giocatrici funzionali alla mia idea di basket, nella scelta dello staff che è sempre stato tutto siciliano, o quasi. E’ nata avendo sempre ben presente quali fossero gli obiettivi della stagione che andavamo ad iniziare. Ed oggi l’unico vero rimpianto – per modo di dire –  è che il Covid ha fermato la prima squadra che ero riuscito a costruire tutta io trovando grande collaborazione della società e dello staff. Quel gruppo del 2019-2020 forse, perché con i se ed i ma non si fa la storia, forse dicevo avrebbe potuto davvero arrivare fino in fondo al campionato. Peccato”.

Allora è il momento di raccontarci qual è la sua idea di basket preferita?

“Forse più che la mia pallacanestro preferita è la pallacanestro che mi viene più facile allenare. Facessi altro chissà che risultati avrei ottenuto…Comunque la pallacanestro che mi piace è quella dove si corre pensando, leggendo le situazioni ad alta velocità. Non è il corri e tira che non mi piace e non credo vada bene per una squadra che ha ambizioni. Tutte le giocatrici che ho allenato avevano qualcosa di funzionale a questo modo di giocare ma alcune  - che cito per ringraziare anche tutte le altre – sono state l’esempio di quello che voglio dire. Ashley Walker, Dearica Hamby, e poi Agnese Soli con la sua capacità di controllare il ritmo, Martina Kacerik e Chiara Consolini entrambe sia pure in modo diverso, capaci di essere polivalenti. La difesa che mi piace è una difesa che deve essere aggressiva che non aspetti l’attacco per poi reagire”.

Lei dice sempre di aver avuto due grandi maestri, Nino Molino e Gianni Lambruschi. Cosa ha preso dall’uno e cosa dall’altro?

“Tutti e due mi hanno formato. Di Molino ho sempre ammirato la capacità di preparare tatticamente le partite e la sua abilità nell’analizzare pregi e difetti della sua squadra e dell’avversaria. E la gestione del gruppo. Di Lambruschi ho amato l’energia, il movimento continuo delle giocatrici e della palla soprattutto. Cerco di essere un misto di tutti e due”.

Al di là di quello che è ovvio, quali sono le differenze tra uomini e donne nella pallacanestro?

“Premessa: amo le donne. Ed amo la loro sensibilità, la loro capacità di vedere mille sfaccettature in quello che si fa insieme e la capacità di vedere cose sempre nuove ed in anticipo. Noi uomini siamo molto più semplici, magari lineari e meno geniali. Nel mio staff ho sempre voluto la presenza di una donna per questa loro caratteristiche di liberare, aprire la mente. Di contro – ma parlo in generale perché di esempi che smentiscono quello che sto dicendo ce ne sono tanti – fanno più fatica a fare gruppo e non dimenticano se qualcosa è andata male, una parola di meno o di troppo e non perdonano. In questo caso uscire da un momento di difficoltà è molto più difficile che con gli uomini. Se invece  il gruppo c’è e seguono convinte l’allenatore, sono loro che ti portano fuori dai guai”.

Sempre una donna nello staff: parliamo di quote rosa Recupido?

“Mai! Io credo sinceramente che le quote rosa siano il contrario di quel che vogliono sembrare. Chiunque deve stare in un certo posto se lo merita a prescindere se è una donna o un uomo. Faccio un esempio in serie A1 femminile. Cinzia Zanotti è assistente in Nazionale perché è brava, perché allena il Geas da tanti anni ed i risultati, il gioco, la crescita delle giocatrici, testimoniano la sua bravura come allenatrice. Lei come altre nelle minors. E mi attacco a questo discorso per dire una cosa sulla questione degli Under.  L’obbligo di portare in panchina nel roster delle squadre i giovani under è stata la rovina dei ragazzi, delle squadre e della nostra pallacanestro. Il problema non è che dobbiamo avere i giovani per obbligo: la questione è che dobbiamo lavorare per far sì che i giovani siano in grado di giocare. Gentile ed Esposito giocavano perché erano giovani o perché a 17 anni erano già capaci di stare in campo come si deve? Nelle minors questa cosa ha fatto danni incalcolabili: c’è stato un mercato di ragazzi che costavano una fortuna ma che una volta terminato lo status di under nessuno voleva più. A parte quelli bravi.  E’ un problema di cultura delle società e del movimento. Chiaro che i giovani vanno aspettati e che vanno fatti sbagliare giocando. Ma qual ’è l’obiettivo? In Italia se non vinci non sei nessuno in qualunque serie e questo non si concilia con una corretta crescita dei giovani”.

A questo punto non resta che chiederle quando la rivedremo su una panchina?

“Non ho fretta. Questa è la prima estate dopo 26 anni che mi sto godendo appieno con la mia famiglia e per adesso non voglio modificare nulla perché ho bisogno di quiete. Ogni tanto l’odore della palestra mi arriva ma se non arriva anche una proposta che mi convinca a lasciare magari anche Ragusa o a cambiare la mia vita, sto bene così, aspetto”.


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