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Goodbye Jerry, unico e irripetibile messaggero del basketball e della NBA

di Redazione Pianetabasket.com

(di FRANCESCO RIVANO). Quando arrivano queste notizie non sai mai come prenderle perché ti lasciano quel senso di tristezza e di abbandono che in realtà non riesci a giustificare con un pensiero razionale. E ti chiedi, perché mai dovrei essere dispiaciuto per la scomparsa di una persona nata a migliaia di kilometri di distanza da te, che ha compiuto da poco più di due settimane 86 anni e che non hai mai visto in vita tua? Beh aspettate, sul fatto che non lo abbia mai visto in vita mia anche no, lo vedo tutti i giorni e lo continuerò a vedere in quella magica posa della sua sagoma bianca su sfondo rosso-blu. La risposta è facile per me, ma capisco che possa essere poco comprensibile per chi non prova lo stesso amore per il gioco che provo io. La notizia di oggi mi riporta alle stesse sensazioni del capodanno del 2020 con la scomparsa di David Stern, a quelle ancora più tragiche e inaspettate del 26 Gennaio sempre del famigerato e orrido 2020 in quel di Calabasas, a quella di pochi giorni fa quando una malattia incurabile si è portata via Bill Walton. Perché quando vanno via dei personaggi che hanno contribuito in maniera considerevole a migliorare e rendere sempre più piacevole un giochino inventato nel 1891 che segui con passione e ami in maniera incondizionata, un velo di tristezza deve per forza travolgere il tuo stato d’animo.

Se qualcuno a suo tempo avrà deciso di usare la sua silhouette per rappresentare una Lega, qualcosa di buono deve aver pur fatto. Eh già, perché da oggi siamo tutti orfani di The Logo, e a partire dalla moglie Karen fino all’ultimo tifoso di basket sperduto in un buco qualsiasi di questo pianeta, siamo tutti un po’ più poveri. Jerry West non è mai stato un personaggio come gli altri, ne ha viste dal campo e da dietro la scrivania, ma era già preparato, dai rapporti con un padre violento, a una vita che non sarebbe stata semplice. Detiene dei record un po’ particolari in quanto è riuscito nell’impresa di essere nominato MVP delle Final Four NCAA che non ha vinto e MVP del NBA Finals che non ha vinto. Il che ha quel gusto dolce amaro perché sai di essere il migliore, ma altrettanto sai che forse avresti voluto essere un pochettino più scarso ma portare a casa il titolo. E di titoli NBA, colui che raffigura la NBA stessa, in campo ne ha vinto solo uno, nel 1972. Perdendone certi che sembrava veramente impossibile poter perdere; chiedere a Willis Reed e al miracolo nella Grande Mela dei Knicks 1970. Senza tirar fuori l’odio maturato nei confronti di quella montagna insormontabile verde e ricca di trifogli che hanno portato una rivalità a diventare una vera e propria ossessione. È stato un Lakers per parecchio tempo, talmente tanto che quando venne scelto, fresco campione Olimpico alle nostre latitudini, i giallo viola erano ancora di base a Minnesota. Non sto qui a elencarvi cifre  e medie anche perché ci vorrebbe il pallottoliere e un sacco di tempo per omaggiare la sua carriera dal punto di vista realizzativo, però dovrebbe far pensare quanto tutto quello di buono ha realizzato all’interno di un campo da basket sia solo la punta dell’Iceberg delle capacità di Jerry West. Una volta dismessi i panni del giocatore e seduto comodamente dietro una scrivania è stato capace di conquistare tutti quei titoli che da giocatore gli sono sfuggiti. C’era lui a muovere i fili per la nascita dello Show Time, c’era lui dietro lo scambio della 13esima scelta e Vlade DIvac al draft del 1996, c’è lui dietro la firma di Shaq in giallo viola. Ma soprattutto c’è lui dietro alla creazione di quei Memphis Grizzlies capaci di essere riconosciuti degni di stima nel panorama NBA, come è stato lui a dare credibilità alla barzelletta Clippers e a far decollare il progetto Warriors. Insomma c’è stato Jerry West in ogni dove dal 1960 in poi all’interno della Lega e i messaggi di cordoglio che arrivano da tutte le parti sono una chiara testimonianza di quanto Mr. Clutch sia stato una figura di riferimento per il basket e per lo sport statunitense in generale. Certo che i Lakers avrebbero anche potuto dedicare a colui che li ha messi su un piano di livello assoluto, un pensiero un pochino più profondo, ma si sa che con i Buss e la dirigenza attuale i ferri erano non corti, cortissimi.

Sinceramente non me lo aspettavo, ma forse la sua dipartita, proprio in questi giorni, proprio in questo periodo dell’anno, non è casuale e mi piace pensare che con il suo temperamento, una volta compreso che la partita più importante oramai era persa,  abbia deciso di gettare la spugna per evitare di dover vedere ancora una volta quelli odiati ragazzi del Massachusetts alzare al cielo un altro Banner.

Francesco Rivano nasce nel 1980 nel profondo Sud Sardegna e cresce a Carloforte, unico centro abitato dell'Isola di San Pietro. Laureato in Economia e Commercio presso l'Università degli Studi di Cagliari, fa ritorno nell'amata isola dove vive, lavora e coltiva la grande passione per la scrittura. Circondato dal mare e affascinato dallo sport è stato travolto improvvisamente dall'amore per il basket. Ha collaborato come redattore con alcune riviste on line che si occupano principalmente di basket NBA, esperienza che lo ha portato a maturare le competenze per redigere e pubblicare la sua prima opera: "Ricordi al canestro" legato alla storia del Basket. E da pochi giorni ha pubblicato la sua seconda, dal titolo "La via di fuga" Link per l'acquisto del libro. Francesco Rivano ha presentato il suo libro nella Club House della Dinamo Sassari.


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