Napoli, ora o mai più. La Gevi è la tua Nazionale e ha bisogno di te

Perché l’entusiasmo riversato ieri sera sull’Italia può rappresentare un punto di svolta per riaccendere in città la passione per la pallacanestro
21.02.2020 14:13 di  Salvatore Possumato   vedi letture
Vitali e Spissu alla sirena
Vitali e Spissu alla sirena

Per avere un’idea di quanto sia mancata alla città di Napoli la Nazionale in questi cinquant’anni di assenza è sufficiente l’immagine del PalaBarbuto al momento della palla a due che ha aperto la contesa tra Italia e Russia. Come si suol dire, non entrava uno spillo, con gente accalcata fin sotto uno dei tabelloni allestiti in occasione delle Universiadi, coprendo parte dei nomi degli atleti. E non poteva esserci modo migliore di inaugurare il cammino verso Eurobasket 2021. Alla sirena conclusiva, che sanciva il successo dei ragazzi di coach Meo Sacchetti per 83-64, le urla festanti di oltre 4000 persone hanno riecheggiato nel palazzetto, seguite dalle note di ‘O surdato ‘nnammurato, immancabile inno che da queste parti accompagna le imprese sportive.

Il rapporto della città con la pallacanestro non è stato sempre idilliaco, ma caratterizzato da un atteggiamento ondulante tra momenti di grande passione ed esaltazione collettiva e vera e propria indifferenza.

Per ragioni anagrafiche non ho ricordi diretti di quella che fu la prima grande stagione cestistica vissuta in città, quando la Partenope di Amedeo Salerno vinse la Coppa Italia (1968), la Coppa delle Coppe (1970) e mise in discussione il dominio lombardo in campionato (2° posto nella stagione 1967-68 e 3° posto nel 1968-69), ma ho avuto modo di esultare sulle gradinate di un infuocato PalaArgento dinnanzi alle giocate funamboliche di Walter Berry, colpo a effetto messo a segno dall’allora presidente Nicola de Piano, nella Paini di fine anni ‘80 inizio ‘90. Napoli si salvò ai playout e l’asso americano chiuse la prima esperienza partenopea (tornò a gennaio del 1992 con la squadra in A2) con la straordinaria media di 31 punti e oltre 12 rimbalzi a partita. Non era una squadra di vertice, eppure sapeva trascinare il pubblico e aveva al suo seguito una tifoseria da fare invidia a club più blasonati. Finita quell’esperienza con la cessione della società ai fratelli Rossini, il trasferimento a Battipaglia e il fallimento, la passione per il basket tornò a scoppiare nuovamente un decennio più tardi, questa volta sul palcoscenico del PalaBarbuto, con la gestione di Mario Maione culminata con la conquista della Coppa Italia (2006) e la partecipazione all’Euroleague 2006-07, con il sogno della Top 16 svanito per un soffio.

Vedere ieri sera il palazzetto stracolmo, dopo aver tristemente annotato la presenza di poco più di un migliaio di persone (in gran parte giovanissimi delle scuole basket) in una gara decisiva per il sogno playoff di A2 della Gevi contro Biella, da un lato lascia un senso di sconforto, dall’altro riaccende la speranza. Sì, perché il calore con il quale ha abbracciato il ritorno della Nazionale dimostra che Napoli ha ancora voglia di basket. La passione non è morta, ma sopita a causa di anni di cocenti delusioni, di fallimenti societari e della vergogna di uno storico palazzetto, la vera casa della pallacanestro cittadina, ridotto a rudere da oltre vent’anni.

Il rischio, però, è quello di perdere l’ennesimo treno per un rilancio da troppo tempo atteso. Le parole pronunciate dal presidente Federico Grassi domenica scorsa, attraverso le quali lamentava la scarsa partecipazione di pubblico nonostante la striscia positiva della squadra e la necessità di poter contare sull’apporto della città nel rush finale che potrebbe condurre la Gevi agli spareggi promozione, rappresentano più di un campanello d’allarme. Il patron ha fatto capire chiaramente che, se attorno alla squadra permane una situazione di scarso interesse se non di indifferenza, ci penserà cento volte prima di mettere mani al portafoglio per portare a Napoli giocatori di valore.

La società ha sostenuto uno sforzo economico considerevole per allestire un roster competitivo per la serie e migliorarlo in corso d’opera in base alle esigenze, affidandone la guida a uno dei migliori allenatori in circolazione, Stefano Sacripanti. Il progetto è serio e c’è la concreta possibilità di attirare investimenti da parte di quell’imprenditoria cittadina troppo spesso latitante quando si è tentato di ricostruire qualcosa d’importante alle pendici del Vesuvio. Ciò che manca, finora, è chi dovrebbe dare la carica agli azzurri, incoraggiarli, condividere con loro gioie e delusioni, domenica dopo domenica.

Certo, anche il calcio non vive un momento facile e l’affluenza di pubblico al San Paolo non è nemmeno paragonabile a quella degli anni d’oro del Napoli di Maradona o, più di recente, a quella che accompagnava le spettacolari giocate con Sarri in panchina. Ma forse questo è proprio il momento giusto per premere sull’acceleratore e dare vita a iniziative, magari con uno sforzo in più anche da parte dei media regionali e nazionali nel dedicare alla Gevi lo spazio che merita, che possano convincere sempre più famiglie a trascorrere le domeniche pomeriggio al palazzetto. Perché l’aria di festa e partecipazione che si è respirata ieri a Fuorigrotta vada oltre l’eccezionalità dell’evento e possa diventare la norma.