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Ventitré anni fa, il Mozart dei canestri...

di Marco Garbin

Esiste una linea di confine che separa, nel nostro sport come negli altri, i campioni dalle leggende.
E' una linea sottile, in alcuni casi non chiaramente percepibile e spesso molto soggettiva, ma nonostante tutto c'è.

Tanti campioni infatti lasciano un ricordo sempre più vago man mano che il tempo passa, seppur molti di loro siano ancora vivi e attivi.

Una leggenda no.
La sua immagine ha il potere di rimanere nitida negli anni, come fosse ancora baciata dalle luci del campo da gioco.

Esattamente ventitré anni fa una di loro, per un tragico scherzo del destino, salutava i parquet del nostro mondo per andar a giocare con i miti del passato.

Era un ragazzo di ventotto anni, nato in una nazione della quale ormai era orfano, dilaniata dalla guerra. Si chiamava Drazen Petrovic e il suo mestiere era cambiare le regole.
Non era un predestinato, anzi. Di statura non superava i 2 metri, e il suo peso non era certo di aiuto nello spostare gli avversari sotto canestro. Per di più era dotato di una tecnica di tiro a dir poco imbarazzante, tanto che agli albori della sua carriera cestistica veniva scherzosamente (alla faccia della simpatia) chiamato "Kamenko", paragonando il suo tiro ad un lancio di sassi! Chiunque con queste carte avrebbe passato la mano, ma non Drazen. Quello che lo contraddistingueva dagli altri era un "feroce" perfezionismo, che lo portava a passare ore ed ore ad affinare la sua tecnica di gioco. Una qualità che gli consentì di diventare un cecchino da qualsiasi posizione e di sviluppare una visione di gioco senza pari.

A completare il capolavoro ci pensò poi il sano agonismo della "Gens Slava" che condusse Drazen, passando dal Real Madrid, a calcare i parquet dell'NBA con la mitica maglia numero 3 dei Nets. Fino a ventitrè anni fa.

Forse Drazen e la sua storia possono aiutarci a capire la differenza fra un campione e una leggenda, insegnandoci che quest'ultima con passione e sacrificio è capace di rompere gli schemi, cambiare le regole e sovvertire ogni pronostico, guadagnandosi un "ricordo vivo" nella memoria di chi questo sport lo ama.

Ventitré anni fa, il Mozart dei canestri, salutandoci da lassù cambiava il gioco del basket.


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