Olimpiadi - Sasha Djordjevic "Milano è casa mia, prima o poi ritornerò"

Olimpiadi - Sasha Djordjevic "Milano è casa mia, prima o poi ritornerò"

E' il tecnico della Serbia Sasha Djordjevic l'uomo del giorno del basket mondiale, per come ha saputo condurre alle semifinali di oggi una Nazionale dotata di immenso talento ma appannata negli ultimi anni strabiliando tutti con la qualità del gioco dei vari Teodosic, Bogdanovic, Raduljica. L'intervista è stata concessa al Corriere della Sera (qui) e ve ne riportiamo alcuni stralci: «Dai, non facciamo i provinciali. Lo sanno tutti cosa rappresenta Milano per me. È casa nostra, è il posto dove voglio che crescano le mie bambine. Nella vita bisogna avere certezze. E io sono sicuro che un giorno tornerò a Milano da allenatore»

Saggezza. «Invecchiando ho imparato due cose. La prima è che il passato non conta niente. Quel che ho fatto e ho vinto rimane, ma se ne parlassi o lo facessi pesare ai miei ragazzi farei lo sbaglio più grande. La seconda è la pazienza, una virtù che si apprezza con il passare del tempo. Io devo essere una persona di riferimento per i giocatori, non un giudice. Devo creare con loro relazioni sincere, da fratello maggiore, capace di dividere quel che succede in campo dal resto. Le squadre vincenti si costruiscono così».

Calma... olimpica. «Chiaro che non era una partita come le altre. Ma contano i giocatori, non il coach. E i miei la sentivano in maniera esagerata. Nei primi dieci minuti hanno sbagliato di tutto perché erano troppo tesi. Nessuno di loro aveva dormito nel riposo pomeridiano, troppo agitati. Allora mi sono mostrato distaccato, quasi distratto. Il mio compito era quello di farli calmare, di rilassarli per quanto possibile. Se avessi aggiunto la mia tensione alla loro, eravamo già a casa».

Semifinale con l'Australia. «Sono i più completi e i più grossi. Una novità. Visto da Rio, il basket di area Fiba sta benissimo. Mancate solo voi, e non capisco perché, il talento dei vostri giocatori è sotto gli occhi di tutti. Dopo la partita con gli Usa ci hanno detto tutti che giochiamo come i San Antonio Spurs del 2014, che per me sono stati la miglior squadra che abbia mai visto. Ma se dovessi rivelare un segreto, ne conosco solo uno. Non avere paura. Era da quattro Olimpiadi che non giocavamo contro gli Usa. Ogni volta che succede, capisci quel che devi fare. Il confronto aiuta a crescere, il senso di inferiorità non serve a nulla. L’hanno detto meglio di me gli australiani: se chiedi ai campioni dell’Nba di farti l’autografo sulle scarpe, hai perso ancora prima di scendere in campo».