Quella "malattia dell'isola" che ha contagiato anche Jack Devecchi

Quella "malattia dell'isola" che ha contagiato anche Jack Devecchi
© foto di Canu/Ciamillo

(di FRANCESCO RIVANO). Avete mai visto “Benvenuti al Sud”? Nel celebre film in cui Luca Miniero dirige il falso invalido Claudio Bisio, c’è una frase che si sposa bene tanto con Castellabate quanto con il resto del Meridione. “ Quando un forestiero viene al Sud  piange due volte, quando arriva e quando parte”. Il tutto per indicare quanto i preconcetti portino a demonizzare un luogo, una comunità, uno stile di vita fino a che l’esperienza personale non faccia rendere conto che di quel luogo, di quella comunità o di quello stile di vita, una volta assaporatane la bontà, non se ne possa fare più a meno. E nelle isole? Nelle isole la seconda parte del postulato citato da Mattia Volpe, alias Alessandro Siani, non ha senso di esistere perché quando un forestiero sbarca su un’isola, da quell’isola non se andrà mai più. Ma cosa significa essere isolano? Essere isolano significa essere parte di un nucleo estraneo al resto del mondo, un piccolo sottoinsieme di persone che si calcifica all’interno del proprio territorio tanto da diventarne una parte inscindibile, un’unione di anime portatrici sane di una malattia grave e molto contagiosa “la malattia dell’isola”. Potrei citare molti esempi di contagiati gravemente da questa patologia, ma ve ne faccio uno, accaduto in Sardegna, che vale per tutti: Gigi Riva. E a proposito di Sardegna. È vero, il pregiudizio è forte, radicato nella mentalità di chi certi luoghi li ha sempre sentiti descrivere come prigioni a cielo aperto, ricettacoli di delinquenti e banditi, distese di luoghi selvaggi in cui la vita dell’uomo si fonde con quella del mondo animale come non ci fosse distinzione. E a chi importa se la Terra Sarda è stata una delle prime contaminate dall’uomo se nel frattempo Perdas de Fogu veniva etichettata nell’immaginario comune come il peggiore dei mali, il luogo di non ritorno, il peggiore dei mali,  il buco nero di chi doveva assolvere l’obbligo del servizio militare.

Pensate a Giacomo, nativo di Sant’Angelo Lodigiano, che nel giorno del suo secondo compleanno sente i caroselli nella vicina Milano: “stanno festeggiando il mio compleanno?” “No tesoro, l’Olimpia ha vinto la Coppa dei Campioni”; immaginatelo che con le scarpette rosse, che ha indossato per tutta la carriera giovanile, riesce a esordire nel massimo campionato di Basket prima di trasferirsi a Montegranaro. Cosa avrebbe dovuto pensare quando nel 2006 è sbarcato a Sassari, in A2. In Sardegna? Ma devo proprio andare? Non più di un anno però! Preconcetti!!! E invece Giacomo inizia ad ambientarsi assieme a Manuel. Una, due, tre stagioni e poi arriva coach Meo Sacchetti, un medagliato Olimpico. “Manuel, ma sai che in fondo pensavo peggio”. Nel 2009 Giacomo e Manuel contribuiscono a scrivere una pagina di storia del Basket sardo; la Dinamo approda in Serie A dopo aver battuto Veroli. Beh, penserete voi, è ora di levare il disturbo, cosa altro potevano fare Giacomo e Manuel per il basket Sardo? E invece le partite si accavallano, come le stagioni e quella promozione diventa l’approdo ai primi playoff scudetto, che si trasformano nelle prime competizioni europee, che si tramutano nella prima Coppa Italia, che degenera nella successiva Supercoppa Italiana e che esagera nella riconferma nelle Final Eight di Coppa Italia dell’anno successivo. E quel contratto viene rinnovato, anno dopo anno e la malattia che ha contagiato un grande campione come Gigi Riva ormai ha la meglio nei confronti del sistema immunitario di Giacomo, ormai diventato Jack, il Ministro della Difesa. Ora immaginate Jack da ragazzino, seduto negli spogliatoi dell’Olimpia Milano; pensa e ripensa a quello che sarà e posa fieramente lo sguardo sul petto della sua canottiera rosso fuoco e promette a se stesso “con l’Olimpia diventerà Campione”, ma poi passa alla Sutor e poi alla Dinamo. Ma allora? A Reggio Emilia, dopo sette estenuanti gare di Finale Jack vede quella promessa diventare realtà, ma con su una canotta bianca azzurra. Sassari sul tetto d’Italia, è tricolore Dinamo nel 2015. Direi che abbiamo esagerato, non si può chiedere altro, non si deve sperare che ci possa essere altro. Manuel Vanuzzo, compagno di una vita, decide che per lui va bene così e Jack diventa il capitano. E da capitano va a prendersi anche una delle cime più alte d’Europa, alzando la FIBA Europe Cup del 2019. Abbandona il terreno di gioco nel 2023, nella serie di playoff contro quell’Olimpia Milano da cui tutto è partito. Ora è dietro la scrivania, oddio, non proprio seduto, ma dinamico, come era in campo, attorniato dal moto perpetuo di Luigi, Valentina e tutto lo staff di una famiglia diventata grande, ma rimasta umile nel lavoro e nei rapporti umani. Jack ha contribuito a realizzare sogni che sembravano dovessero restare tali: i sogni del Signor Bruno che ancora si aggira nella club house di Via Nenni dopo aver dato i natali nel lontano 1960 alla polisportiva Dinamus insieme ad altri 10 compagni del Liceo Azuni; i sogni di Roberta, sassarese doc, che ha vissuto di basket e che ha lasciato tragicamente questo mondo troppo presto e il cui nome torreggia ancora sul palazzetto della Dinamo; i sogni di Emanuele che da protagonista assoluto in maglia bianco azzurra dal 1991 al 2007  avrebbe desiderato, con la sua mole innumerevole di canestri, partecipare alla conquista di qualche trofeo; i sogni di Andrea che da giornalista ha avuto l’opportunità di visitare le città del basket europeo leggendo il nome della sua città accanto a quello delle squadre più blasonate del vecchio continente senza trattenere le lecrime per l’orgoglio.

Dopo aver superato qualche diffidenza iniziale” (parole sue) Jack è diventato un giocatore simbolo della Dinamo ma soprattutto è diventato un uomo simbolo della città di Sassari e dell’intera Sardegna. Nella sua persona, ormai divorata dalla malattia dell’isola, si incarnano tutte le caratteristiche del popolo che lo ha accolto: la fierezza, l’altruismo, la caparbietà, l’amor proprio, l’ospitalità e la tenacia. In fondo è proprio vero, quando un forestiero sbarca su un’isola, da quell’isola non se andrà mai più e per te caro Jack Devecchi, Sassari sarà sempre sinonimo di casa.

__

Francesco Rivano nasce nel 1980 nel profondo Sud Sardegna e cresce a Carloforte, unico centro abitato dell'Isola di San Pietro. Laureato in Economia e Commercio presso l'Università degli Studi di Cagliari, fa ritorno nell'amata isola dove vive, lavora e coltiva la grande passione per la scrittura. Circondato dal mare e affascinato dallo sport è stato travolto improvvisamente dall'amore per il basket. Ha collaborato come redattore con alcune riviste on line che si occupano principalmente di basket NBA, esperienza che lo ha portato a maturare le competenze per redigere e pubblicare la sua prima opera: "Ricordi al canestro" legato alla storia del Basket. E da pochi giorni ha pubblicato la sua seconda, dal titolo "La via di fuga" Link per l'acquisto del libro. Francesco Rivano ha presentato il suo libro nella Club House della Dinamo Sassari.