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LBA - Reggiana, Stefano Landi "E' stata una bellissima avventura"

di Redazione Pianetabasket.com
Fonte: LegaBasket.it

Passato il clamore della sua uscita definitiva dalla Pallacanestro Reggiana - club che ha saputo portare a livelli altissimi in Italia e non solo - Stefano Landi si ferma a riflettere.

Il viaggio è stato lungo. Ora che si è concluso avverte la nostalgia?

"Un po' c'è. La tristezza è però attenuata dalla felicità per essere riuscito a mettere la società nelle mani giuste, come era nei miei progetti. Il club ha così ha la possibilità di continuare un percorso di alto livello".

Non era scontato riuscirci...

"Assolutamente, viste le difficoltà del momento storico. Grande merito della cessione va anche ad Alessandro Dalla Salda che avevo contattato già nell'autunno 2019. Sono particolarmente felice che Dalla Salda, con cui avevo condiviso il 99% della mia storia in Pallacanestro Reggiana, sia tornato a casa. Sono sicuro che sia un valore aggiunto".

Assieme a Dalla Salda ha avuto anche altri importanti compagni di viaggio: Ivan Paterlini e Maria Licia Ferrarini.

"Pur essendo stato per diversi anni l'unico patron del club, il lavoro che ho fatto non è mai stato solitario. Ivan e Licia mi hanno sempre affiancato. Sono stati i presidenti negli anni delle finali due scudetto quando, pur non avendo alcun interesse finanziario o economico nel club, mossi da amicizia e passione hanno condiviso con me le gioie e i dolori. Tutti e tre non vediamo l'ora di tornare a vedere una partita a Reggio. Speriamo che questo avvenga nei tempi previsti".

Ha visto passare centinaia di giocatori e una ventina di allenatori. Chi le è rimasto particolarmente nel cuore?

"Purtroppo non ho avuto modo di conoscere Basile che, nel momento del mio arrivo, lasciava Reggio per approdare alla Fortitudo. Ce ne sono stati tanti. Su tutti dico Della Valle, uno dei primi a scrivermi quando ho annunciato l'addio, Polonara, Alvin Young, Rimas Kaukenas. Poi gli allenatori: Max Menetti con cui ho un contatto costante, Franco Marcelletti e Fabrizio Frates che ci riportò in A. Ricordo sempre con piacere anche il ds Alessandro Frosini".

La crescita di Pallacanestro Reggiana impose alla città una riflessione profonda sull'impiantistica sportiva che è poi sfociata nel lungo e complesso restyling del Pala Bigi. Lei alla metà degli anni 2000 presentò il progetto per un palasport (il "Sigaro") che avrebbe dovuto sorgere a Mancasale. Progetto poi bocciato. Rimpianti per quell'impianto mai sorto?

"Fu un'occasione persa, all'epoca. C'erano tutte le condizioni per poter realizzare quel nuovo impianto, ma l'amministrazione la ritenne un'operazione non sostenibile. Per contro non ho mai nascondo il mio apprezzamento per un palasport in centro come il Bigi. Quando si parla di impianti sportivi che devono contenere cinquemila persone, oltre che una serie di servizi, non è semplice poterli riadattare. Speriamo che il risultato finale sia buono". Lo sviluppo del club passa da lì?

"Sì. La questione dell'impiantistica non è banale. Oggi la gente ha voglia di andare a vedere uno spettacolo sportivo in sicurezza, potendo usufruire di servizi adeguati. Ci si è sempre focalizzati sulla capienza, ma c'è anche altro che non va sottovalutato. In futuro potremmo immaginare di avere a Reggio due impianti con caratteristiche diverse, in zone diverse della città come ha Bologna con Pala Dozza e Unipol Arena".

Non si correrebbe poi il rischio di creare cattedrali semideserte?

"A livello di basket è un cerchio che si chiude: se riesci a fare una buona squadra, allora l'interesse c'è e la gente viene a palazzo. Abbiamo riempito le piazze nei momenti d'oro. Tutti sanno che il basket a Reggio è un'eccellenza sportiva".

Ora l'eccellenza Pallacanestro Reggiana è finita in altre mani. C'è continuità rispetto al percorso che lei ha compiuto?

"Ne sono sicuro. In più abbiamo garantito questa continuità in un contesto reggiano. Non era scontato. Anzi, era molto difficile. Più di un anno fa, a me si sono aggiunti altri quattro soci: appassionati, reggiani e imprenditori. Timidi contatti, confesso, che li avevo avuti anche con qualche fondo straniero. Non ho però dato seguito a quei primi approcci perché in quei momenti stavamo già mettendo insieme la mini-cordata reggiana". Reggianità come valore aggiunto?

"La reggianità non è un passaporto, né una casta. È un valore che dice quanto la città di Reggio e gli imprenditori reggiani siano attaccati a questa realtà. In questo momento Veronica Bartoli ha il largo controllo della società. Dall'esterno mi sembra di vedere che siano ugualmente importanti anche gli altri due soci rimasti: Graziano Sassi ed Enrico San Pietro, ma da un certo punto di vista anche Andrea Baroni (socio uscito assieme a Landi pochi giorni fa, ndr). L'auspicio è che si replichi il triumvirato e che, come accaduto con il Pat, la Licia e io, resista a lungo". E magari finisca l'opera?

"Lì serve anche tanta fortuna, oltre a investimenti e chimica. Anche se non abbiamo vinto lo scudetto, io in quelle due finali ho sempre visto il bicchiere mezzo pieno. Una volta può succedere, due consecutive no. Vuole dire che hai costruito qualcosa di robusto. Auguro ai nuovi soci di andare avanti, senza mettere alcun tipo di pressione". Cosa consiglia loro?

"Di parlar chiaro e cercare di rimediare subito agli errori. Allora il tifoso ti apprezzerà e ti seguirà. In Pallacanestro Reggiana i ruoli sono sempre stati definiti. Io non ho mai interferito in scelte che non mi competevano: né con l'ad, né con i ds, né con gli allenatori. In altri casi il padre-patrone funziona, qui si è sempre ragionato diversamente. I panni sporchi li abbiamo sempre lavati in casa. Le polemiche non sono mai uscite dai nostri uffici. Tutto ciò ha reso l'ambiente stabile".

Sente la riconoscenza della città per quanto fatto?

"L'ho sentita moltissimo da parte dei tifosi e della città. L'ho sempre sentita anche quando la squadra andava male e si rischiava. La vicinanza l'ho sentita ancora di più quando ho annunciato l'intenzione di lasciare. Mi ringraziano in tanti e a tutti rispondo che devo essere io a dire grazie a chi ci ha sempre seguito".

Come sono stati negli anni i rapporti con le istituzioni?

"Ho avuto la possibilità di collaborare con gli amministratori già durante l'era Spaggiari, poi ho proseguito con Delrio e quindi con Vecchi. Non abbiamo mai avuto grossi interessi comuni, i temi sono sempre stati quelli relativi all'impiantistica. Disponibilità e affetto sono sempre state grandi: erano proprio i sindaci i primi a chiamarmi sul cellulare dopo le imprese sul campo. Abbiamo ricevuto tanti onori, dalla consegna del Primo Tricolore a molti altri".

Rifarebbe tutto quello che ha fatto?

"Confesso che quando entrai al Bigi in quella mitica partita con Cantù dell'ottobre 1998, non pensavo di continuare per oltre vent'anni e che per un periodo lungo avrei poi tenuto in mano la società da solo. È stato un periodo bello. Un pezzo di vita in cui sono state più le soddisfazioni delle delusioni".

A livello professionale l'ha in qualche modo aiutata il percorso fatto con la Pallacanestro Reggiana?

"La mia crescita professionale si è sviluppata su altre strade. Quando però si ricoprono ruoli pubblici, sono stato anche presidente di Unindustria e ora commissario straordinario di Camera di Commercio, si presenta la possibilità di conoscere tante persone e confrontarsi. Anche grazie alla pallacanestro le mie conoscenze si sono arricchite. Negli anni ho conosciuto colleghi illustri, come ad esempio i Benetton e gli Snaidero".

Consiglierebbe a un giovane imprenditore questa esperienza?

"Sicuramente per tutte le esperienze e conoscenze che si fanno. È un mondo diverso rispetto a quello delle società di capitale ma come esperienza è molto utile".

Ora ne è fuori, ma ha comunque un'idea dei possibili sviluppi del mondo sportivo italiano?

"Purtroppo adesso non c'è auto-sostenibilità delle società e non intravedo all'orizzonte cambiamenti che possano indirizzare il cammino in tal senso. Chi entra oggi nel basket deve mettere in conto di mettere mano al portafoglio".

Utopia arrivare a una società auto-sostenibile?

"Non è utopia, ma è molto difficile. Anche nel calcio a parte qualche realtà, la vedo dura. Bisognerebbe rivoluzionare tutto: bloccare le retrocessioni per un periodo di quattro o cinque anni e creare una lega chiusa sul modello NBA. L'impiantistica è poi una chiave importante. La solidità dovrebbe arrivare non solo da sponsor e botteghini ma anche dai diritti televisivi. Questo potrebbe essere possibile solo se ci fosse molto più interesse attorno al movimento. Si pensa sempre a quanto si può incassare, siamo invece un momento in cui si deve pensare a investire. Se le tv non fanno la fila per accaparrarsi i diritti del campionato di serie A di basket, vuol dire che non ha abbastanza appeal. Per crescere bisognerebbe arrivare anche a togliere i vincoli relativi ai passaporti".

Parla da presidente di Lega. È nei suoi piani?

"No (ride, ndr). Ho troppi capelli bianchi e troppi impegni. Un altro ruolo nello sport? Per ora no, ma mai dire mai. Adesso mi godo questa fase da tifoso, con l'augurio che i nostri nuovi proprietari si tolgano, e ci facciano togliere, tante soddisfazioni. Io sono solo un tifoso, uno dei tanti, che però ha avuto la fortuna di essere stato per lungo tempo nella stanza dei bottoni".


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