L'ansia di vincere e il tarlo della programmazione mancata: il caso Olimpia

Analisi del perchè e del percome del difficile inizio stagionale dell'Olimpia Milano
09.10.2015 13:36 di  Umberto De Santis  Twitter:    vedi letture
L'ansia di vincere e il tarlo della programmazione mancata: il caso Olimpia

Abbiamo conservato gelosamente l’audio delle dichiarazioni post gara di ieri sera rilasciate da Jasmin Repesa dopo la disfatta di Trento. Encomiabile nel non voler trovare scuse – ragioni e non scuse evidenti peraltro come riferito da noi anche nella cronaca della gara contro i Celtics – prendendosi la responsabilità di tutto per non aver bene ottemperato ai programmi della società. Non poteva trovare parole più nobili, ma il giro di queste parole riconduce a chi i programmi li ha stilati e poi ha deciso cambiamenti alla radice senza troppo riflettere sulle conseguenze.

Nel settembre 2013, all’apice del potere minucciano che portava in Nazionale il coach senese Simone Pianigiani, la Mens Sana Basket – totalmente rifatta nuova sotto la guida di Luca Banchi - si imbarcò per una tournèe negli USA in cui incontrò prima gli Spurs a San Antonio, poi i Cavaliers a Cleveland. Salvo poi tornare in Italia per giocare una finale di Supercoppa secca in condizioni psico-fisico-tecniche incerte, ed era appena il 22 settembre. Che comunque Cantù, al palasport di Rimini, vinse meritatamente.

Senza voler sminuire un grande allenatore come Repesa, la freschissima esperienza in una situazione del genere avrebbe dovuto far tenere in considerazione la dirigenza Olimpia il mantenere come coach proprio Banchi, invece di mandarlo in esilio a Grosseto a godersi lo stipendio senza lavorare. Probabilmente si sarebbe anche dovuto evitare di stravolgere il roster come è stato poi fatto. In fondo gli errori fondamentali erano stati due: aver preso un giocatore bollito come Kleiza per un finisseur e ingaggiato un Ragland troppo undersize per incidere in Euroleague. Poi bastava mettere un cane da guardia alla porta dello spogliatoio per limitare gli effetti di quella “bella vita notturna milanese” che Proli ha fatto intendere tra le righe come concausa della debacle dell’ultima stagione.

La rivoluzione dell’estate 2015 è stata fatta quindi con poca avvedutezza: ormai è un fatto conclamato. Le rifondazioni hanno bisogno di entrare in palestra il giorno dopo Ferragosto con tutti gli effettivi disponibili. Tra partenze anticipate e arrivi ritardati per colpa delle Nazionali è venuto a mancare il necessario lavoro di coesione e di identità. La manifesta superiorità dei Celtics, che non vengono accreditati dell’avere fuoriclasse nel roster, si è palesata proprio nell’organizzazione di gioco che ha dato coach Stevens, che per arrivare a questo ha avuto diritto – e pazienza di dirigenza e di pubblico – di fare ben due anni sottotono. Che in Italia si sarebbero chiamati due anni fallimentari con il codazzo di stampa e tifosi a chiedere la testa del povero allenatore.

Siamo sicuri che Repesa saprà uscire da questo momento: è troppo bravo ed esperto;  e quando il gioco si farà duro l’Olimpia Milano farà alla grande la sua parte come le formazioni guidate dal tecnico croato hanno sempre fatto. E’ a monte che la società deve fare grandi progressi. La stagione è stata programmata male e la scelta della rivoluzione si è rivelata infelice: non basta mettere un paio di occhiali griffati sul viso di questo o quel giocatore per dirigere una società sportiva. Quello si chiama marketing, lo sport è altra roba. E ora vincere lo scudetto diventa un fisiologico traguardo minimo. Perché Banchi con Siena ci riuscì (per tacer della Coppa Italia).