LBA - Sandro Gamba commenta la vittoria dello scudetto dell'Olimpia Milano

LBA - Sandro Gamba commenta la vittoria dello scudetto dell'Olimpia Milano

Anticipato al lunedì la consueta rubrica di Sandro Gamba sull'Olimpia Milano, grazie anche al titolo vinto sabato sera al Forum, sulle pagine de La Repubblica edizione Milano. Le lucide parole del grande coach novantenne.

C'era bisogno di questo scudetto. Per Milano, per onorare la tradizione dell'Olimpia, per dare una scossa all'atmosfera. A tutti noi, dopo due anni di acque stagnanti, se non peggio. E come sempre accade, nelle serate in cui si decide l'annata, di grande richiamo, il pubblico milanese risponde sempre con entusiasmo e dando una grande spinta.

Questa è una piazza abituata alle grandi vittorie: Milano proiettata sempre nel futuro, Milano che crea, Milano che vince e non una volta ogni tanto. Milano che paga e pretende, che tutti cercano di copiare. Capitava anche a noi ai tempi del Simmenthal, con le altre squadre che aspiravano ad avere i giocatori come quelli di Milano, lo stesso stile, gli stessi colori e venivano a guardare i nostri allenamenti. Che organizzavo io, più di Rubini.

L'Olimpia ha meritato questo scudetto per il modo in cui ha condotto la stagione, che poi è stato lo stesso delle finali: andatura rettilinea, di gran carriera, consistente, da grande squadra. Sette giocatori fortissimi ­ il primo quintetto più Hall e Melli ­ ruotati alla perfezione, e dietro di loro un team di operai specializzati che ha portato sempre qualcosa di positivo. Non ha avuto cali, cambiato quintetti, il prodotto sul parquet è stato sempre di alto livello.

Avranno imparato tutti quanto sia speciale vincere in questa piazza, dove i tifosi ti stanno attorno e ti riconoscono per strada, nonostante si viva in una metropoli. Ai tempi del Borletti e Simmenthal le persone si congratulavano in dialetto, col cuore in mano offerto a chi si faceva valere. Oggi, magari, si faranno una foto, ma è sempre la stessa storia, la stessa soddisfazione. E addosso, quando giochi per l'Olimpia, hai gli occhi di tutta Italia, ti guardano anche dall'Europa.

Ho letto le parole di Ettore Messina, che ha ricordato come nessuno mi abbia mai fischiato al Palalido o al Palazzone, quando andai ad allenare a Varese o a Bologna. Dirò di più: il mio primo ritorno al Lido, stagione 1973­74, contro la allora Innocenti. Fui accolto da un applauso che ricordo ancora adesso, che non avevo mai ricevuto prima e che mi fa venire ancora i brividi.

E Messina, ormai, fa parte a pieno titolo di questa storia. Lui non è soltanto un mattone importante, di quelli fatti con la terra rossa, per questa società. È un pilastro, fatto di marmo di Carrara, capace di resistere alle intemperie, alle sconfìtte e alle sciagure. Perché in una stagione, ogni allenatore bravo lo sa, arrivano prima o poi i tempi difficili, e la squadra con cui ha iniziato la stagione non sarà la stessa della fine. E allora devi essere bravo a prevedere, a programmare, a cambiare i tuoi schemi, i quintetti, le gerarchie.

Ci sarà anche la sua foto, un giorno, in sede. Lo merita. È la garanzia più affidabile per il futuro del basket a Milano. Non posso non parlare delle polemiche che hanno accompagnato la finale, da parte di gente invidiosa. E che farebbe bene a interessarsi di politica, e non di sport: questo genere di argomenti nel nostro ambiente non può avere cittadinanza, il basket non è fatto per i sotterfugi e le scorciatoie. Non prevede nemmeno il pareggio, o vinci o perdi.

Sono stato educato nel club più importante d'Italia, dove non esistevano scuse. Gli arbitri si rispettano, ci puoi discutere sul campo per un fischio, mai dopo. Da parte del signor Armani e del suo gruppo non è mai arrivata una polemica del genere e mai arriverà una dichiarazione simile. La loro cifra è la correttezza, che non è soltanto un fatto di signorilità. È intelligenza sportiva, che ti abitua a non crearti gli alibi, se le cose non funzionano. Purtroppo, certi presidenti si comportano peggio di certi allenatori. Ma non abitano qui.