LBF A1 Techfind: ecco a voi Luca Andreoli coach della bellissima Lucca

Andreoli, 32 anni, bolognese, ha condotto una stagione sopraffina a Lucca e potrebbe essere anche premiato. Ecco cosa ci ha detto
05.06.2022 00:20 di  Eduardo Lubrano  Twitter:    vedi letture
LBF A1 Techfind: ecco a voi Luca Andreoli coach della bellissima Lucca

Quella della Gesam Gas e Luce Le Mura Lucca è stata una stagione ricca: di soddisfazioni, di riconoscimenti. Di risultati. La squadra che nel 2017 ha vinto lo scudetto e che sembrava aver perso quel feeling con l’altissima classifica l’ha ritrovato quest’anno da poco concluso: quarta alla fine della stagione regolare, semifinale di Coppa Italia dopo aver battuto Ragusa  ed essere stata sconfitta in semifinale da Schio; fuori ai quarti di finale del campionato con Ragusa solo per differenza punti. Ed alla fine potrebbe anche arriva il premio come migliore allenatore dell'anno per Luca Andreoli.

Visto che non si tratta di un miracolo perché a Lucca evidentemente ci sanno fare, Pianeta Basket ne ha parlato proprio con il coach dell’anno. Andreoli come avete fatto?

Ci sono un po' di cose che hanno contribuito. Partiamo dall’inizio:  l’accordo e la collaborazione tra Nico Pistoia e il Basket Le Mura Lucca. Poi l’importanza dell’arrivo qui a Lucca di Ennio Zazzaroni, mio mentore da Vigarano, la persona che mi ha lanciato in serie A1. Il fatto che alcune giocatrici con le quali avevamo già lavorato abbiano accettato di seguirmi, per esempio, Giulia Natali e Maria Miccoli, ma anche Gianolla e Frustaci che hanno fatto il salto in A1 senza paura dalla Nico, Caterina Gilli che è scesa dal Geas, scesa in senso geografico intendo, così come dal Nord, Broni,è arrivata Parmesani; senza dimenticare Elisabetta Azzi, Sara Valentino e Daria Valentini. Questo è stato il gruppo di italiane principale sul quale ci siamo concentrati per poi passare ad innestare le straniere giuste per questo roster ed il gioco che volevamo fare, Wiese, Dietrick e Kaczmarczyk. Ho voluto le ragazze perché in realtà tutte le giocatrici sono state le artefici di questa bellissima stagione che abbiamo vissuto tutti insieme. Riuscendo anche in un’altra impresa non da poco: soddisfare il gusto di una piazza ben abituata a vedere della bella pallacanestro ma che non ha il budget delle grandi società”.

Quanto ci ha messo a farle giocare così bene?

Fino a tre giorni prima dell’Opening Day eravamo senza americane (poi ha giocato Dietrick,ndr), però vedevo che il gruppo in campo stava già bene insieme, aveva già un suo equilibrio difensivo ed offensivo. Al punto che all’intervallo della gara con Schio eravamo sopra di due. Poi la loro impressionante forza e capacità di alzare il livello della gara ha fatto sì che vincessero bene. Sconfitta al supplementare con Venezia, vittoria con Moncalieri e poi la sconfitta con Broni alla quale seguiva la trasferta di Campobasso. Quella settimana lì ero un po' preoccupato invece la squadra si è allenata benissimo, con gioia, entusiasmo e voglia di fare molto bene. Ed infatti abbiamo vinto a Campobasso che è una cosa tutt’altro che facile. Da lì quattro vittorie di seguito fino alla trasferta in casa della Virtus Bologna ma a quel punto avevamo trovato la squadra, la nostra emotività, il nostro modo di stare in campo e di allenarci”.

Che vuol dire?

Una volta che sono riuscito a spiegarmi con le ragazze, aiutato anche da chi di loro mi conosceva, sul fatto che per me un errore non è qualcosa di cui aver così paura da farsi bloccare o da guardare subito la panchina dopo averlo commesso, il clima tra di noi è diventato seriamente leggero. Mi spiego. Pronti via si lavora e tutte concentrate al massimo per fare quello che è necessario. Ma finito un esercizio – o anche durante in circostanze particolari – c’è sempre spazio per una battuta che aiuta a smorzare la tensione, a far nascere una risata che però serve a riattaccare la spina ancora più seriamente di prima”.

Torniamo sulla questione dell’importanza educativa dell’errore?

Io vengo dalla scuola di San Lazzaro di Savena dove l’idea di basket è di correre in transizione ed in contropiede prima di tutto. Io credo molto nel contropiede, nell’aumentare il numero di possessi. Questo porta anche naturalmente ad un numero di errori superiore ma è qui il punto: si può e si deve sbagliare a patto che ogni errore sia una lezione individuale e di squadra su come far meglio la prossima volta. Un possesso non è così determinante, una giocatrice non deve aver paura d’esser cambiate se sbaglia. Tra questo concetto e convincere una giocatrice ce ne passa, può essere complicato. Alzare il numero di possessi per me significa avere la possibilità di sbagliare per avere la possibilità di scegliere cosa fare la prossima volta”.

C’è qualcosa della squadra che l’ha sorpreso?

La mentalità. Il divertirsi come dicevamo prima anche durante gli allenamenti, anche durante una settimana o un periodo particolarmente difficile che abbiamo vissuto noi come tante altre squadre. Mi è sembrata una squadra più matura rispetto all’età media che ha. Quando parlo di mentalità parlo anche del cambio di atteggiamento che abbiamo avuto tra il girone di andata e quello di ritorno. Nella prima parte era “Oddio andiamo a…!!”. Nel ritorno ragionavamo così “Allora domenica andiamo a vincere a…”. Quando si è rotta la Wiese ho temuto per la tenuta emotiva del gruppo ma in un attimo mi sono accorto che in quella settimana lì c’era più energia in allenamento e che tutte stavano lavorando di più per sopperire ad un problema che ci ha toccatomolto. Cosa ci è mancato per far di più? Forse un po' di esperienza e di talento complessivo per essere il vero guastafeste della situazione”.

Domanda retorica: si aspetta il premio come miglior coach dell’anno?

Francamente no. Se dovessi riceverlo ne sarei contento ma devi dire che hanno fatto tutto le giocatrici, la società che mi ha aiutato ad essere nelle condizioni migliori per fare il mio lavoro. La sensazione di aver fatto qualcosa di buono. L’ho sempre avuta però insieme, per questo il premio se arriverà lo prenderò, ma lo condividerò con tutte e tutti”.