Muse: The Black Mamba si mette a nudo

Dopo un anno di attesa finalmente va in onda il docu-film su Kobe Bryant, a cura dello stesso Kobe. Un must per i cultori del Mamba ma da vedere anche per chi non lo sopporta, forse cambia idea.
02.03.2015 17:27 di  Daniele Petrongolo   vedi letture
Muse: The Black Mamba si mette a nudo

Prodotto da Showtime, ormai è su YouTube da qualche giorno il primo lavoro di storytelling per Kobe Bryant, che a quanto pare non sarà l'ultimo visto che ha dichiarato a USA Tooday che una volta ritirato vorrebbe appunto dedicare il suo tempo a raccontare storie. L'opera era già pronta l'anno scorso ma il Mamba non era convinto e in perfetto stile Bryant ha voluto ricominciare tutto da capo. Il risultato è una biografia che qualcuno potrà definire un tantino auto-celebrativa, ma se vi stupite non conoscete il personaggio.

Kobe ci mostra il suo mondo, si racconta in modo del tutto personale e sincero, forse come nessuno aveva fatto prima di lui in questo ambiente, ricorda le vittorie, le sconfitte, gli aneddoti del campo ma non tralascia aspetti caratterizzanti del suo passato e della sua vita privata, mostrandosi più di una volta visibilmente emozionato, convinto che proprio questi elementi siano fondamentali per comprendere il suo gioco e la sua carriera. Il docu-film inizia con Kobe che racconta un suo incubo ricorrente in cui è solo davanti al canestro e non riesce a saltare per lasciar andare il tiro, come se fosse incollato al pavimento, troppo pesante. Seguono le immagini di quella che possiamo definire la concretizzazione di quell'incubo,  quelle dell'infortunio al tendine d'Achille di due anni fa, infortunio gravissimo che ha fatto appendere le scarpette al chiodo a molti grandi del passato tra cui Isiah Thomas e Shaq.

Da qui nel documentario si alternano immagini del lungo e complicato decorso postoperatorio alle varie sezioni in cui Kobe condivide con noi gli anni e i momenti che hanno segnato la sua vita: la sua infanzia italiana, il ritorno negli States e l'esperienza dell'high school, i primi anni in NBA, le finali vinte e le finali perse, senza omettere le vicissitudini private della sua famiglia. Dalle parole di Kobe traspare tutto l'amore, la devozione, l'ossessione patologica per il gioco e per la vittoria, il tutto riassunto simbolicamente in una sua frase, parafrasando "Il fallimento è peggio della morte". Bryant ci da un ulteriore prova di quanto le intangibles (gli aspetti psicologici, interiori di ogni atleta) siano fondamentali in questo sport. Riuscire a gestire l'enorme pressione e canalizzare le delusioni, la frustrazione, il dolore all'interno del proprio gioco nel modo giusto fa la differenza tra un buon giocatore e i campioni, i vincenti, i migliori. Kobe ce ne da il più fulgido esempio nella sua scissione tra Kobe Bryant, quello che deve gestire le questioni e i problemi fuori dal campo, e il Black Mamba, quello che scende in campo e scrive la storia del basket. La scena finale è quella che nessuno vorrebbe vedere: Kobe di nuovo dal medico, questa volta per un problema alla spalla, stagione finita. Dopo l'ennesimo infortunio alla sua età molti direbbero basta, ma se c'è una cosa che ho capito da questo documentario è che il Mamba non si arrende mai e di certo tornerà con la stessa voglia di vincere di sempre.